È caccia all'uomo in Kosovo dopo la sparatoria avvenuta due giorni fa a Banjska tra uomini armati serbi e polizia kosovara: il bilancio è di sei morti oltre a un altro fronte di crisi all'interno del costone balcanico. Sembrano lontani anni luce i recenti accordi di Ohrid dello scorso aprile, che puntavano a una normalizzazione sociale, prima che istituzionale, tra i due Paesi e le relative minoranze. Invece non solo si è riaccesa la tensione fra Pristina e Belgrado, ma si è aperta una falla dagli esiti geopolitici al momento imprevedibili.
Mercoledì tre serbi erano stati arrestati in Kosovo con l'accusa di aver commesso crimini di guerra: subito il presidente Vucic aveva invitato la comunità internazionale a reagire e domenica scorsa una pattuglia della polizia kosovara è caduta in un'imboscata da parte di uomini armati che sono fuggiti in un vicino monastero dove si sono barricati. L'episodio giunge a pochi giorni dall'ennesimo tavolo negoziale (fallito) apparecchiato dall'Ue che, con il capo della diplomazia Joseph Borrell, sta provando a far ricucire le parti, ma senza risultati concreti. Anzi, la situazione sta precipitando, forse anche per una scarsa determinazione dello stesso Borrell, dal momento che su quella specifica area si stanno incrociando al momento vari dossier, tutti altamente sensibili e strategici, come la guerra in Ucraina, le pressioni dei super player esterni, le politiche europee di allargamento.
Il riflesso geopolitico dello scontro tra blocchi di deduce, plasticamente, anche dalle posizioni di Mosca e Washington. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, l'escalation in Kosovo è una «conseguenza diretta» della politica adottata dal primo ministro, Albin Kurti, e incentrata sulla «pulizia etnica» dei serbi. Un continuo gioco con il fuoco lo definisce, «che porta l'intera regione balcanica sull'orlo del baratro» causato dagli «estremisti albanesi del Kosovo».
Difende la polizia kosovara il segretario di Stato americano, Antony Blinken, secondo cui «gli autori di questo crimine devono essere ritenuti responsabili attraverso un processo investigativo trasparente». Al contempo però ha richiamato i due Paesi a ridurre le tensioni.
Vigila con attenzione sulla questione il governo italiano che, con i ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto, sta monitorando la macro area. Il numero uno della Farnesina ha sentito al telefono il presidente serbo e il primo ministro del Kosovo: «Siamo disposti a valutare proposte di rafforzamento del dispositivo della Kfor. Faremo di tutto per favorire presenza anche ai confini, per evitare nuovi scontri», ricordando che l'Italia resta impegnata in prima linea per la stabilità dei Balcani e per la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. «Tutte le parti e le nazioni in campo, serbi e kosovari, militari e civili, devono impegnarsi per bloccare ogni focolaio di tensione nell'area», ha spiegato il ministro della Difesa, secondo cui già il 23 maggio alcuni scontri avevano coinvolto 25 militari della Kfor, di cui 11 italiani.
«Proprio per questo motivo, in particolare nella regione balcanica, le nostre direttive impongono alla missione Nato Kfor, attualmente a guida italiana, di essere sempre pronta a fronteggiare ogni possibile sviluppo della situazione».
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