Le lacrime della Meloni e la condanna del regime? A sinistra non basta mai

Il premier e i suoi hanno rotto col Ventennio ma Lerner e gli antifascisti non lo accettano

Le lacrime della Meloni e la condanna del regime? A sinistra non basta mai

L'estate scorsa, sui giornali e nelle piazze, rigurgitavano, allarmati, scenari neri. Neri come le camicie che i «destri», per come li vedevano loro, avrebbero indossato una volta arrivati a Palazzo Chigi. Ci avvertivano: in caso di vittoria, la Meloni avrebbe riportato l'Italia indietro di cent'anni, dritta al Ventennio. Alcuni, i più preoccupati, azzardavano addirittura parallelismi col Reich. Tutti, lì nella cricca radical chic (antifascista di professione), concordavano: i diritti sarebbero finiti al macero; la Costituzione sarebbe stata stralciata.

Così non è stato. E, dopo aver inondato la campagna elettorale con assurde polemiche, la sinistra ha presto dimenticato l'allarme fascismo. Poi lunedì, dopo che la Meloni ha detto senza giri di parole che «le leggi razziali furono una ignominia» e, commossa fino alle lacrime, ha abbracciato la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, al termine della cerimonia di accensione delle luci di Hannukah, qualcuno è sembrato pure ricredersi. È il caso, per esempio, di David Parenzo e di Alessandro Gassmann. «Quelle del premier sono parole molto importanti che le fanno onore», ha commentato su Twitter il giornalista. «La Meloni, che non ho votato, fino a qui è meglio di come immaginassi», ha invece detto l'attore. «Spero che sia arrivato il tempo per una destra moderata e antifascista e magari per una sinistra che torni a fare la sinistra, cosa che non avviene da troppo tempo».

Il punto è che quel tipo di destra, «moderata e antifascista», esiste da tempo. Solo che a sinistra non lo ammettono. Lo scorso ottobre, su Repubblica, Sofia Venturi sentenziava: «La Meloni non condannerà mai il fascismo. Quella è la sua dimensione esistenziale, l'intelaiatura del suo partito è ancora quella da ex Msi». Niente di più falso. E non perché lunedì ha condannato le leggi razziali ma perché lo aveva già ampiamente fatto in passato. L'11 agosto: «La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia da decenni ormai, condannando senza ambiguità la soppressione della democrazia e le infami leggi contro gli ebrei». Il 9 ottobre 2021, in piena ubriacatura mediatica da «Lobby nera» (caso smontato in queste ore dai pm): «Le leggi razziali sono state la pagina più brutta dell'umanità». E nel 2008, da ministro, lanciava un monito ai giovani militanti di An: «Siamo gente che crede nella libertà, nella democrazia, nell'uguaglianza e nella giustizia. Siamo quelli che ogni giorno consumano i migliori anni della propria gioventù per difendere questi valori, al punto che se oggi qualcuno si mettesse in testa di reprimerli noi li difenderemmo con la vita. Sono i valori sui quali si fonda la nostra Costituzione e che sono propri anche di chi ha combattuto il fascismo». Rilette queste dichiarazioni nessuno dovrebbe avere dubbi. Eppure a sinistra non è così. Per alcuni nemmeno l'aver definito le leggi razziali «una ignominia» è sufficiente. «Dichiararsi amici di Israele non basta a rimuovere le colpe storiche del razzista Almirante, di cui fino a ieri rivendicava l'eredità», ha sentenziato Gad Lerner. E Moni Ovadia: «La Meloni è una politica capace e questo gesto fa parte del suo naso politico». Non lasciatevi ingannare.

Lerner e Ovadia non sono gli ultimi «partigiani» asserragliati contro la Meloni. Anche quelli che oggi sembrano più concilianti, a tempo debito, torneranno a tuonare contro la destra. E la accuseranno di non aver mai condannato il fascismo e le leggi razziali.

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