L'ad Rai sotto scorta per il caso Ghali

Sergio minacciato di morte. La sinistra esalta i rapper Pro-Gaza e lincia il "suo" Fassino

L'ad Rai sotto scorta per il caso Ghali
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A passare da leader politici a follower dei rapper ci vuole un attimo.

Mentre l'ad Rai Roberto Sergio finisce sotto scorta per le minacce di morte ricevute dopo il comunicato in difesa di Israele, accusato in diretta tv di «genocidio» da Ghali, il Pd si fa scudo umano del cantante milanese di origini tunisine, vittima secondo Elly Schlein di «un'aria di censura che non ci piace: i cantanti debbono potersi esprimere liberamente». E a ruota i suoi: lirica Laura Boldrini: «Bravo Ghali che chiede la fine dello sterminio e non si lascia intimidire» da Israele. Fiammeggiante Alessandro Zan: «La Rai teme gli artisti e la loro voce, tenta la censura in modo scomposto, smette di essere servizio pubblico». Quindi viva «Ghali e Dargen, che hanno mostrato tutta la debolezza di questo sistema di potere». E giù richieste di dimissioni dell'ad Rai Sergio (reo di aver dato un minimo diritto di replica a Israele), giù accuse a Mara Venier (rea di aver letto il suo comunicato), applausi liberatori per il cantante che ha finalmente ridato voce all'anima profonda anti-Israele di gran parte della sinistra, che dall'orrendo pogrom del 7 ottobre era costretta a mordersi la lingua. Ora non più: il violento linciaggio social della base Pd contro Piero Fassino, colpevole di aver denunciato la totale amnesia di Sanremo sui giovani ebrei sterminati da Hamas durante un rave, è un segnale chiaro del sentiment prevalente: per lui (come per Sergio finito ieri sotto scorta) nessuna solidarietà da Boldrini, Schlein o Zan. Vuoi mettere Ghali? Qualcuno nel Pd tenta di correggere la deriva: «Fassino è persona coerente e libera: brutta aria se dire quel che si pensa diventa pretesto per campagne di odio e intimidazione», dice il senatore Filippo Sensi, che insieme a pochi altri dirigenti Pd (Quartapelle, Madia, Fiano, Mancuso) anima l'associazione «Sinistra per Israele». E proprio Aurelio Mancuso sbotta: «Ma come si fa a dare peso politico alle stupidaggini del primo rapper che passa? Do tutta la mia solidarietà a Fassino, e a Mara Venier, entrambi investiti dall'odio anti-Israele che purtroppo avvelena una parte della sinistra». Quanto a Ghali, e alle sue invettive anti-gay e sessiste emerse dai social, «è surreale ergere a paladino della democrazia e dei diritti uno che la pensa così su omosessuali e donne. E che evidentemente non sa nulla della storia di Israele e del sionismo».

Dietro l'insurrezione pro-rapper del Pd c'è però anche una partita assai più terra-terra, quella della divisione del potere in Rai e del rinnovo dei suoi vertici. In verità, più che dalla vituperata «TeleMeloni» i dem sono allarmati da TeleConte. Il leader Cinque Stelle, giocando di sponda col centrodestra, ha fatto man bassa di poltrone, mezzibusti, colonnelli, produzioni e programmi Rai, lasciando il Pd sostanzialmente a bocca asciutta e mettendo fieno in cascina per la sua propaganda elettorale. Così, dopo lo scontro sul sit-in convocato da Elly Schlein a Viale Mazzini, e disertato da Conte, il caso Sanremo ha fatto tornare a galla la tensione interna al «campolargo»: il dem Andrea Orlando attacca «la difesa dell'indifendibile ad Rai Roberto Sergio» da parte del capo M5s, sospettato di puntare, in asse con Salvini, alla riconferma di Sergio. Mentre la presidente Rai Marinella Soldi (guarda caso in sintonia con la consigliera Rai in quota Pd Francesca Bria, indicata a suo tempo proprio dall'allora ministro Orlando) fa trapelare «estremo disappunto» per la «mancanza di equidistanza» del comunicato di Sergio a sostegno di Israele.

Per fortuna, almeno un rischio pare sventato: quello di ritrovarsi qualche bandierina sanremese candidata al Parlamento

europeo. O almeno così assicura la dem Debora Serracchiani: «Candidare Ghali o Dargen D'Amico? Lo escludo, le liste europee sono cose serie e mi sembra proprio che entrambi facciano altro». Ma non è detta l'ultima parola.

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