"L'addio sarà duro, ma restare sarebbe peggio"

L'ex ministro ed economista: "Dire che non si può fare retromarcia aggrava la situazione"

"L'addio sarà duro, ma restare sarebbe peggio"

Roma - «Nel giugno 1971 la Rivista italiana di politica economica pubblicò in caratteri minuscoli, per nasconderlo il più possibile, un mio saggio contro il piano Werner, il primo esperimento di unione monetaria europea, nel quale sostenevo che il progressivo restringimento dei margini di fluttuazione dei tassi di cambio avrebbe creato problemi». Il report di Mediobanca non suona nuovo ad Antonio Martino, già professore di Economia politica alla Luiss di Roma e oggi deputato di Forza Italia. Quello scritto gli valse la riprovazione di Piero Fassino che lo bollò come «euroscettico» allorquando Martino fu nominato ministro degli Esteri nel 1994. Ma «il Pci fece campagna contro gli accordi di Messina del 1955 che portarono al Trattato di Roma del 1957», ricorda Martino, figlio del ministro che quegli accordi li promosse e li firmò.

Onorevole, anche Mediobanca ha ipotizzato che è possibile uscire dall'«area monetaria ottimale» dell'euro.

«Un'area monetaria è ottimale se c'è mobilità dei fattori della produzione che non può esserci tra Paesi con ordinamenti, lingue ed economie differenti. Quale mobilità può esserci tra la Baviera e la Sardegna? Si usa quel termine per l'euro perché il suo padrino è il Nobel Bob Mundell che studiava gli ambiti monetari ottimali e che non ho mai capito come potesse considerare tale l'Unione europea».

Una certa politica sostiene queste posizioni da tempo.

«La situazione è molto più complessa di come la si descrive politicamente. Luigi Einaudi era favorevole a una moneta unica perché si sarebbe tolta agli Stati nazionali la possibilità di monetizzare il debito facendo comprare alle banche centrali i titoli emessi per finanziare il deficit e aumentando l'inflazione che è la più odiosa delle imposte. Ma oggi cos'è il quantitative easing se non un acquisto massiccio di titoli del debito pubblico da parte della Bce che li paga creando euro? Fra tre anni al massimo se ne vedranno gli effetti e l'inflazione si abbatterà su uno scenario diverso dall'attuale».

Mediobanca punta il dito contro la perdita di produttività del lavoro connessa al cambio fisso.

«Se il disavanzo delle partite correnti non determina una svalutazione della moneta nazionale, il sistema si riporta in equilibrio con le variabili macroeconomiche interne: prezzi, livello dell'occupazione e sviluppo. L'Italia ristagna da tanto tempo proprio per questo motivo».

L'impostazione europea è dunque sbagliata?

«Comportarsi come se non si potesse fare macchina indietro aggrava gli errori, mentre è possibile farlo in modi non penosi dal punto di vista economico e sociale».

Quindi l'uscita è possibile come dicono Salvini, Meloni e Grillo?

«L'uscita non è semplice e indolore ma l'euro ha creato una perdita secca di potere d'acquisto. Tuttavia non vedo una maggioranza che abbia un progetto o un piano per realizzarla. L'idea del referendum non sta in piedi perché non sono ammessi in materia di trattati internazionali. Io ed altri economisti avevamo proposto nel 2012 che la Grecia adottasse una moneta parallela che circolasse assieme all'euro al tasso di cambio che il mercato avrebbe determinato. Dopo un paio d'anni si sarebbe raggiunto il tasso di equilibrio e la Grecia sarebbe potuta uscire ordinatamente».

Quali miglioramenti si avrebbero con una nuova lira?

«Se avessimo una moneta nazionale, avremmo altri

due obiettivi di politica economica: l'equilibrio di bilancia dei pagamenti e la politica monetaria nazionale. È per questa ragione che da un po' si ricomincia a parlare di una possibile conveniente uscita della Germania».

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