Onorevole Antonio Tajani, i talebani sembrano inseguire un riconoscimento internazionale. Per quale motivo?
«Sanno di poter essere protagonisti di partite economiche importantissime. Ci sono molti fattori geopolitici che suscitano timori e preoccupazione. Sono aspetti di cui occorrerà preoccuparsi con urgenza, naturalmente dopo aver evacuato e messo al sicuro il maggior numero possibile di afghani che rischiano la vita con il nuovo regime talebano e tenendo sempre altissima l'attenzione sugli aspetti umanitari, sul possibile bagno di sangue, sulla sopraffazione di diritti e di libertà civili».
Qual è il rischio più grande che vede all'orizzonte?
«In Afghanistan rischiamo di avere uno Stato islamico ricco, sostenuto da alcune grandi potenze, che può prosperare a danno dei suoi cittadini diventando una sorta di quartier generale del terrorismo. Non c'è solo il mercato dell'oppio, ci sono immensi giacimenti di minerali su cui alcuni Paesi vicini stanno mettendo gli occhi. È una preoccupazione che va anticipata adesso, uno dei grandi temi che deve porsi l'Europa e la Nato».
Lei non crede a un regime islamico moderato?
«No, non credo all'approccio moderato. Solo se saranno sotto pressione si potranno limitare i danni, ma il rischio è che una volta spenti i riflettori possano sentirsi liberi di violare ogni diritto umano. Il giorno dopo la conquista di Kabul già si torna a sparare, non c'è da fidarsi».
L'Occidente deve puntare comunque sul dialogo?
«Più che il dialogo serve un confronto e far capire ai talebani che l'Occidente c'è. Per fare questo serve un'Europa politicamente influente, servono forze armate europee e bisogna tenere la Russia da questa parte della barricata. Bisogna impedire che la Cina e la Russia si compattino. È il ritorno alla politica estera di Berlusconi che ha sempre fatto di tutto per avvicinare Mosca all'Europa».
Quali appetiti può suscitare l'Afghanistan?
«L'Afghanistan siede letteralmente su un tesoro minerario senza uguali. Le risorse minerarie valgono 908 miliardi di dollari, parliamo di 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di ferro, filoni di alluminio, oro, argento, zinco, cobalto, mercurio, oro e metalli preziosi, ma soprattutto di 1,4 milioni di tonnellate di elementi delle terre rare come lantanio, cerio e neodimio, nonché litio pari alle riserve presenti in Bolivia, primo Paese al mondo per vene di litio».
Già oggi la Cina controlla una percentuale elevatissima di terre rare. Questa quota potrebbe aumentare?
«Le terre rare sono cruciali per l'industria e lo sviluppo tecnologico. Sono materiali utilizzati per telefoni cellulari, televisori, motori ibridi, tecnologia a laser e batterie. Per di più, sono una risorsa chiave per la produzione di apparecchiature militari. L'idea che tutto questo finisca in mani poco rassicuranti o sotto il controllo cinese, pone un problema gravissimo non solo economico, ma anche geopolitico e di sicurezza».
La Cina non fa mistero del suo interesse per l'Afghanistan.
«Il 28 luglio scorso il ministro degli Esteri cinese ha ricevuto il mullah Abdul Ghani Baradar. Gli investimenti previsti da Pechino per infrastrutture, autostrade, ferrovie e reti energetiche con cui trasformare Kabul in una tappa strategica della Nuova Via della Seta ammontano a oltre 60 miliardi di dollari. La Cina domina già il mercato delle terre rare a livello globale. Nel 2018, produceva 120.000 tonnellate di terre rare (il 70% della produzione mondiale, nello stesso anno gli Usa si sono fermati a 15.000 tonnellate). Con l'Afghanistan Pechino andrebbe a controllare il mercato mondiale».
L'altra incognita è quella del terrorismo internazionale.
«C'è il rischio che i talebani utilizzino i proventi dell'estrazione di queste risorse naturali per finanziare una rete terroristica. Al Qaida e talebani hanno mantenuto stretti legami con reciproci benefici. Per i talebani, questo si aggiunge ai grandi ricavi provenienti dal traffico di droga e dall'oppio (l'Afghanistan produce l'80% dell'oppio mondiale per un valore stimato di 350 milioni di dollari con una superficie coltivata a papavero da oppio di oltre 220.000 ettari).
Nei campi di oppio lavorano mezzo milione di contadini, alle dipendenze dei talebani, un devastante mercato di morte che si ripercuote sul mondo intero. Parliamo di enormi risorse che è ragionevole immaginare che non verranno impiegate per migliorare il tenore di vita della popolazione, ma per finanziare attività pericolose per l'Occidente e il mondo intero».
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