Quattro anni, due mesi e 14 giorni. Tanto ci è voluto affinché un tribunale internazionale imponesse all'India di rimpatriare il fuciliere di Marina Salvatore Girone. Ha scontato una condanna prima ancora di una sentenza, di un processo, di un'incriminazione. I due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono stati obbligati a un'odissea giudiziaria, umana e familiare che poteva esser loro risparmiata. I tentennamenti, i passi falsi e anche la viltà dei governi che si sono succeduti li hanno costretti a subire la più grave delle ingiustizie: la privazione della libertà senza una condanna. Anzi, senza che mai sia stata neppure provata la loro responsabilità nella morte dei due pescatori indiani quel lontano 15 febbraio 2012.
Eppure per loro si sono aperte le porte del carcere e del soggiorno obbligato. Per due militari in missione per conto dello Stato, che godevano dell'immunità funzionale (di cui l'India ha fatto uso quando gli serviva per i suoi soldati) e che operavano fuori dalle acque territoriali indiane e quindi senza che New Delhi avesse alcuna giurisdizione. Ma tutto ciò è accaduto per la leggerezza dei nostri governi, che non hanno saputo affrontare con decisione una così grave violazione del diritto, che non hanno adottato misure nei confronti di chi si faceva beffe delle norme internazionali e che, con colpevole ritardo, sono ricorsi a un tribunale internazionale.
E ieri i giudici dell'Aia hanno fatto sapere che il nostro fuciliere di Marina deve rientrare in Italia e attendere in patria che lo stesso Tribunale decida (ma ci vorranno almeno due anni) quale Paese avrà il diritto di aprire un processo contro di loro. I giudici arbitrali hanno invitato le parti a mettersi d'accordo sulle modalità del rientro di Girone in Italia.
Ma da New Delhi continuano a mettere paletti, a inventarsi ostacoli. «L'Italia non ha interpretato correttamente l'ordine del Tribunale hanno affermato fonti del governo indiano -. Non è vero che il marine Girone è libero: le condizioni della sua libertà provvisoria devono essere stabilite dalla Corte Suprema», indiana naturalmente.
In Italia, logicamente, ora tutti gongolano e parlano di successo senza precedenti, come se essere liberati dopo quattro anni di ingiusta prigionia non sia la morte della giustizia ma il suo trionfo. Leggete cosa ha detto il premier Matteo Renzi. «Ho parlato con il marò Girone che potrà tornare in Italia, della straordinaria notizia che arriva dall'Aia. È un passo avanti davvero significativo», ha affermato inviando un messaggio di «amicizia e collaborazione al grande popolo indiano e al primo ministro indiano Narendra Modi. Siamo sempre pronti a collaborare». È vero, siamo sempre pronti, pronti a ballare come giullari di corte, facendo tintinnare i campanellini sul cappello a sei punte per compiacere chi ci prende a calci. Ma nonostante il tentativo di divertire e di farci compatire, il risultato è lungi dall'essere ottenuto.
E lo dimostra la laconica nota della Farnesina la quale, parlando di buona notizia per i due militari e per le loro famiglie, non nasconde che il governo italiano «conta su un atteggiamento costruttivo dell'India». La strada perciò è ancora lunga.
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