L'algoritmo è libero di parlare

La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti e l'applicazione del Primo Emendamento

L'algoritmo è libero di parlare
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Il Primo Emendamento si applica anche alle decine di milioni di decisioni prese per via algoritmica dalle piatteforme social, in particolare Facebook e YouTube. A suggerirlo è l'ultima sentenza della Corte Suprema a proposito dei due casi NetChoice, quando l'organizzazione per la libertà di espressione ha deciso di far causa alla Florida e al Texas per due leggi che avrebbero limitato la possibilità dei social di moderare i contenuti nel feed. Le leggi erano state pensate in risposta alla presunta censura dei conservatori online. Tuttavia, la Corte Suprema ha rispedito i casi ai tribunali inferiori perché la questione non sarebbe stata sviscerata adeguatamente, suggerendo nel frattempo che le leggi dei due Stati, con ogni probabilità, non verrebbero seguite dai giudici perché quasi sempre destinate a scontrarsi con il Primo Emendamento, che garantirebbe alle piattaforme social di moderare i propri contenuti, poiché si tratta di giudizi di enti privati su cui il governo non dovrebbe poter intervenire. In altre parole, anche gli algoritmi hanno diritto di parola. L'opinione della maggioranza dei giudici è doppiamente illuminante: da un lato la libertà di opinione pare potere essere estesa a qualsiasi entità, non necessariamente umana. E il governo non può censurare un algoritmo.

Dall'altro lato, però, se si applica indiscriminatamente persino agli algoritmi, allora la libertà di parola dell'essere umano finirà per essere messa sotto processo ogni qualvolta troverà spazio online, perché la macchina stessa si trasformerà in governo legibus solutus, perché non ci sarà alcun Primo emendamento a difenderci.

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