L'intrigo internazionale che ha coinvolto Cecilia Sala si estende fino al Brasile. Secondo informazioni esclusive pubblicate ieri da Infobae, il sito di notizie in spagnolo più letto al mondo, uno dei due iraniani coinvolti nel caso Sala, Mahdi Mohammad Sadeghi, ha infatti viaggiato da Boston in Brasile il 2 dicembre scorso, sbarcando a Joinville, nello stato meridionale di Santa Catarina, una delle regioni più industrializzate e che ospita importanti aziende produttrici di componenti elettronici e tecnologia per i droni. Quello del 2 dicembre scorso è stato il primo e unico viaggio di Sadeghi in Brasile, dove è rimasto sei giorni per poi tornare, il 7 dicembre, negli Stati Uniti, nove giorni prima di essere arrestato in contemporanea con Mohammad Abedini, fermato dalla polizia italiana all'aeroporto di Malpensa mentre era in viaggio dalla Turchia alla Svizzera. Sadeghi aveva creato in Massachusetts una azienda «di dispositivi per il fitness, specializzata in sensori indossabili che forniscono monitoraggio cinetico» secondo l'FBI.
La detenzione dei due iraniani lo scorso 16 dicembre è al centro del caso che coinvolge Sala ed è scoppiato in un momento delicatissimo, non solo per l'avvicendamento negli Stati Uniti tra Biden e Trump, ma anche perché, il prossimo 10 gennaio, in Venezuela si insedia il nuovo presidente. Che dovrebbe essere Edmundo González Urrutia, il vincitore delle elezioni del 28 luglio scorso ma che, invece, sarà il presidente de facto Nicolás Maduro, autore di una frode monumentale. Per questo la situazione a Caracas rischia una pericolosa escalation. Da segnalare che l'Iran fornisce dal 2007 tecnologia per droni proprio al Venezuela, che di recente ha iniziato a produrre gli Zamora V-1, una copia dei droni iraniani Shahed, e che per diversi esperti militari potrebbero essere usati da Maduro in un disperato tentativo di difesa se la popolazione, un 10% della quale è di origine italiana, dovesse insorgere dopo il 10 gennaio.
Anche in Brasile, che presiede il blocco BRICS di cui l'Iran è paese membro da un anno, Teheran si sta espandendo. Lo scorso aprile l'ambasciata iraniana, in un evento che ha organizzato per celebrare la Giornata delle Forze Armate brasiliane, ha rafforzato il suo progetto di relazioni con il Brasile sul fronte della difesa. L'altroieri, anniversario della morte del generale Qasem Soleimani, l'ex comandante delle Forze Quds, è stato presentato nelle reti sociali dagli iraniani di Brasilia come «il portabandiera della lotta contro il terrorismo». Tra le strategie che Teheran persegue nel gigante sudamericano c'è anche quella di esportare la rivoluzione iraniana tramite uno dei suoi principali strumenti di propaganda, ovvero l'università Al-Mustafa, sanzionata da Stati Uniti e Canada per aver addestrato milizie sciite pakistane e afghane in Siria, a sostegno di Assad. Dietro quest'università c'è Mohsen Rabbani, sulla lista rossa Interpol e accusato di essere la mente degli attentati contro l'ambasciata israeliana del 1992 e contro l'AMIA, nel 1994, entrambi a Buenos Aires ed in cui sono morte 114 persone. Da segnalare, infine, la visita lo scorso agosto a San Paolo e alla moschea di Ponta Grossa, nel Paraná, stato brasiliano alla Triplice Frontiera con Paraguay e Argentina, di uno degli ayatollah di Khamenei, Hassan Alemi. Del resto è dai tempi dell'inchiesta sull'attentato dell'AMIA del giudice argentino Alberto Nisman, ucciso nel 2015, che le reti iraniane si interessano al Brasile.
Il sito di notizie brasiliano O Bastidor aveva già denunciato nel 2023 «una rete clandestina che opera da almeno dieci anni» a San Paolo con «agenti e mezzi al servizio dell'apparato di intelligence di Teheran, occultata da società di copertura che usano prestanome e indirizzi falsi ed alla quale partecipano iraniani cono copertura diplomatica».
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