Tra gli oligarchi sanzionati dalla Ue è quello che ha deciso di opporsi al provvedimento con più ostinazione. Insieme con i familiari ha presentato una raffica di ricorsi che saranno presto discussi dalla Corte di Giustizia dell'Unione. Per il momento però, Alisher Usmanov non può viaggiare in Europa e nemmeno mettere piede sul suo yacht, tra i più grandi al mondo: 156 metri, ufficialmente di proprietà della sorella e oggi sotto sequestro ad Amburgo. Re dei metalli (possiede il maggior produttore di ferro al mondo), le sue società con base in Russia operano anche nel settore delle telecomunicazioni ed è famoso per alcune indovinate scorrerie borsistiche sui colossi dell'hitech Usa. All'inizio del 2022 Forbes gli attribuiva un patrimonio di 14 miliardi di dollari. La guerra in Ucraina ha inciso anche sulla sua ricchezza. Dal suo ufficio di Tashkent, in Uzbekistan, Paese dove è nato e di cui dal 2018 è cittadino, Usmanov (che non risponde a domande sulla situazione interna russa) taglia corto: «Per me non è solo e tanto una questione di soldi. E comunque di cifre non ne faccio. Delle perdite finanziarie subite ho parlato nel mio ricorso alla Corte di Giustizia. Delle sanzioni mi preoccupa soprattutto l'effetto reazione a catena: hanno colpito i miei parenti più stretti, le mie sorelle e i miei nipoti, e un numero enorme di persone che nemmeno mi conoscono: migliaia di dipendenti delle aziende di cui sono azionista, di miei concittadini uzbechi, di destinatari di opere di beneficenza in tutto il mondo e di appassionati di scherma, visto che pochi mesi fa ho dovuto sospendermi da presidente della federazione internazionale».
Perché le sanzioni sarebbero sbagliate?
«L'accusa si basa sul fatto che sarei un oligarca vicino al Cremlino e che avrei ricevuto degli incarichi finanziari dal presidente russo. Un'accusa totalmente falsa che si basa su alcune pubblicazioni che non contenevano niente di concreto. La mia storia è nota a tutti: ho fatto fortuna costruendo le mie attività da zero o acquistandole sul mercato libero, a prezzi di mercato. Non ho partecipato a privatizzazione di proprietà statali e non ho mai ricevuto regali dallo Stato. E, naturalmente, non ho mai eseguito incarichi finanziari da parte di rappresentanti delle autorità russe. Tutte le mie entrate e i miei beni degli ultimi 25 anni sono stati controllati da società internazionali di auditing, che hanno verificato che ogni centesimo fosse conforme alla legge. Contro di me hanno applicato solo un principio di responsabilità collettiva, nel mio caso sbagliato».
E da sanzionato la sua vita come è cambiata?
«Non posso occuparmi a tempo pieno dei progetti di beneficenza che avevo in Europa e posso essere meno utile al mio paese, l'Uzbekistan. Sei anni fa quando al potere è salito un presidente riformatore come Shavkat Mirziyoyev, ho promesso di aiutare l'Uzbekistan. Mi occupo di attrarre investimenti stranieri, grazie ai quali sono entrate sul mercato società come l'italiana Danieli e la tedesca Knauf. In più ho dovuto sospendermi da Presidente della FIE, la federazione della scherma, carica, questa, che ricoprivo dal 2008. Un duro colpo, perché la scherma è la mia vita».
E non può nemmeno venire in Sardegna, dove possiede alcune delle più belle ville della Costa Smeralda. Senza parlare dello yacht Dilbar.
«Lo yacht è davvero splendido, ma non è più mio da tempo. Circa 15 anni fa ho iniziato ad affidare le proprietà che avevo acquistato in trust familiari a favore delle famiglie dei miei parenti. Dopo l'imposizione delle sanzioni nei loro confronti queste proprietà, tra cui lo yacht e le ville in Sardegna, non sono più nemmeno nella disponibilità dei miei familiari. E non c'è alcun fondamento legale per il loro sequestro. L'unica cosa che resta sono i debiti e le fatture per la manutenzione che qualcuno dovrà pur pagare, mentre non c'è nessuno che lo faccia».
Per i suoi accusatori la sua storia è la tipica storia dell'oligarca vicino al potere...
«Ma l'accusa contro di me è sbagliata. Ho fondato la mia prima azienda durante la Perestrojka: produceva sacchetti di polietilene ed è diventata la più grande dell'Unione Sovietica. Non conoscevo nè il Presidente Gorbaciov né nessuno della nomenklatura di partito. Eppure sono riuscito a costruire un'impresa da zero. Già negli anni '90 ero abbastanza ricco, ho investito in decine di attività diverse sui mercati azionari ma, consapevolmente, non ho partecipato alla privatizzazione delle proprietà statali russe. Mi rendevo benissimo conto che nessuno dà nulla per nulla. Ho farmi guadagnare molto sono state soprattutto operazioni di investimento di successo, come quelle in azioni di Facebook e di altre società internazionali».
Non ha giovato alla sua immagine il fatto che lei abbia avuto una dura polemica pubblica con Alexei Navalny, l'oppositore di Putin ora in carcere per ragioni politiche. Lui l'ha accusata di aver pagato tangenti a Dmitri Medvedev, lei l'ha denunciato e fatto condannare.
«Forse sono stato troppo emotivo nella mia discussione pubblica con Navalny, lo ammetto. Ma lei deve capirmi: da lui ho ricevuto, e in modo volgare, una gravissima accusa pubblica per colpe che non avevo commesso... Avevo il diritto di reagire pubblicamente e l'ho fatto. Gli ho risposto come a una persona pubblica che mi aveva insultato, e non come a un critico delle autorità. L'ho citato in giudizio e ho vinto in modo equo. Il processo è stato seguito dai mass media ed è stato impossibile nascondere nulla. In una certa misura compatisco Navalny, ha avuto molta sfortuna nella sua vita... ma quello che gli è successo dopo non cambia il fatto che il processo contro di me l'ha perso».
Prima dell'inizio della guerra, pensavamo che gli oligarchi avrebbero cercato di fermarla. Ma hanno dimostrato che contano poco e che in Russia il potere è in mano alle forze di sicurezza.
«Posso dire che l'ipotesi che le sanzioni contro gli uomini d'affari possano influenzare le decisioni del governo è del tutto errata. L'effetto più importante delle sanzioni è la distruzione delle relazioni di fiducia e di affari costruite in decenni.
Sono state distrutte catene di fornitura ormai consolidate. Il business si adatterà, riorientando vendite e contatti verso altre regioni, in primo luogo Sud-Est asiatico e Cina. Tornare alle relazioni precedenti con l'Europa non sarà facile».
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