Ho sempre pensato che l'amore sia di due tipi: epico e drammatico. Il primo è quello che si perde nel tempo, ci s'incontra da giovani e continua, continua senza interrompersi per tutta la vita. Il secondo è quello che si spezza e si ricompone sempre di nuovo, ovviamente cambiando la persona a cui si vuol bene. Vivere l'uno o l'altro tipo di amore sarà anche una questione di carattere, ma sono convinto che sia soltanto un caso che ci mette di fronte quella parodia del destino che si chiama vita.
Ho una profonda ammirazione, forse invidia, per un caro amico di gioventù, che ho continuato a frequentare. Avevamo entrambi diciotto anni, entrambi con due belle ragazze: lui l'ha sposata, io no; lui ci vive ancora insieme, io cammino invece con una certa disinvoltura sulle macerie della mia vita sentimentale. Il suo è un amore epico, cioè quell'amore che vive di una continua trasformazione dell'identico, senza che venga spezzato il filo che unisce le due persone.
Ciò che mi affascina di quest'amore è la possibilità di non raccontarsi, cioè di sapere dell'altro tutto ciò che è importante, decisivo quando si fanno delle scelte e si devono prendere delle decisioni. Epico perché si vive una lunga storia comune, senza mistero, e questa durata non è questione di fedeltà, di rinunce: tutte balle. Ci possono essere state infedeltà, ma è prevalsa l'epicità del rapporto, che continua a raccontare la storia di due anime che il destino non separa, nonostante tutto.
L'amore epico, come si può intuire è raro, quello drammatico è il più frequente. È drammatico perché ogni volta che s'incontra un amore ci si deve ricominciare a raccontare: il proprio passato è un piccolo o grande dramma che non essendo stato vissuto con la persona che al momento si ama, bisogna narrarlo. Un racconto inevitabilmente inedito che può essere affascinante, noioso, divertente, stucchevole, ma che resta una storia che non si è vissuta insieme. Non c'è passato, c'è solo la speranza di avere un futuro, e se nel nuovo racconto all'amata si suppone di poter rinunciare anche al futuro, il dramma finisce presto: insomma, è la sindrome del Don Giovanni, spesso molto banale.
L'amore drammatico non fa notizia, rinfocola il chiacchiericcio, il gossip, quando si è qualcuno: c'è poco da fare, l'amore drammatico ha in sé qualcosa di ripetitivo e si riscatta quando ogni volta supera, appunto, la sindrome del Don Giovanni, per diventare il sogno di aver trovato una parvenza di amore epico, che finalmente si lascia alle spalle quello drammatico: con la speranza di non finire sotto un treno come è accaduto ad Anna Karenina.
L'amore epico fa notizia, invece, perché è in via di sparizione: belle storie quelle di Francesco Forte, di Alessandro Milan, del papà di Vittorio Sgarbi. Esemplari quelle che tutti conosciamo: si ricorderà il volto sofferente di Sandra Mondaini quando è venuto a mancare Raimondo Vianello, quello di Giulietta Masina alla morte di Federico Fellini e altre ancora. Splendide storie epiche, difficilissime da rivedere perché oggi, per un giovane, avventure di questo tipo sono quasi offensive, danno l'immagine di qualcosa di vecchio: oggi conta il vortice di inarrestabili esperienze, che in realtà sono assolutamente prive di educazione sentimentale, per cui si accumulano fallimenti.
Sbagliato anche catalogare questo tipo d'amore come una vicenda drammatica. Solo superficialità. Amori brevi, divorzi brevi: tutto rapido. Il piccolo demone Eros, dal volto epico e drammatico, oggi è ferito e immalinconito da questa recita moderna che lo vuole rapido e senza storia.
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