Landini e "Repubblica" ci riprovano col fascismo

Il quotidiano "lancia" la manifestazione di oggi della Cgil. E Virzì: c'è voglia di nazismo

Landini e "Repubblica" ci riprovano col fascismo

Torna lo spauracchio del fascismo, anche se il governo non si è ancora insediato, anche se non sarà fascista né nella forma né nella sostanza. L'occasione è la manifestazione di oggi della Cgil che, oltre a chiedere al prossimo esecutivo e alla politica attenzione ai temi del lavoro, ricorda l'assalto lanciato da estremisti di destra e no vax il 9 ottobre dello scorso anno alla sede del sindacato, che venne devastata. In 30 sono finiti a processo per quell'attacco, molti di loro, tra questi Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader storici di Fn, sono stati arrestati già nella notte tra 9 e 10 ottobre dello scorso anno e sono ora alla sbarra, e le prime condanne per chi aveva scelto il rito abbreviato sono arrivate lo scorso luglio, appena 9 mesi dopo i fatti.

La giustizia sta insomma facendo il suo corso, ma non sembrerebbe così a leggere l'intervista al leader della Cgil Maurizio Landini su Repubblica di giovedì. «Impunito l'assalto fascista, tornare in piazza oggi è un dovere», si strilla già nel titolo. L'assalto impunito, però, è esclusivamente farina del sacco di Repubblica e non ha niente a che fare con quanto sostiene l'intervistato, che risolleva sì la matrice «fascista e squadrista» quanto all'assalto dello scorso anno, chiedendo anche lo scioglimento delle organizzazioni che si richiamino espressamente al fascismo, ma «rispetta» il lavoro della magistratura. E soprattutto respinge con chiarezza anche la domanda che tenta di mettere in relazione l'anniversario di quel violento blitz con l'arrivo della destra al governo. «Faccio una distinzione molto netta. Chi ha assaltato la nostra sede è oggi sotto processo, rispettiamo quindi il lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura. Altra cosa sono i partiti che si presentano alle elezioni e vengono eletti democraticamente». Insomma, più che Landini è il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Maurizio Molinari che torna a calcare sul pericolo di rigurgiti fascisti.

E che il «pericolo fascismo» che ha animato la campagna elettorale sia già tornato di moda è evidente da altri segnali.

Per esempio dalle parole di Nicola Fratoianni di Si che, annunciando la sua presenza al corteo Cgil, lamenta il mancato scioglimento di Fn&Co ma aggiunge: «E ora attendiamo il governo più a destra che il nostro Paese abbia mai conosciuto».

O dalle parole «naïf e non da tecnico» del regista Paolo Virzì al podcast di Repubblica Metropolis sulla democrazia che «scricchiola nel mondo», su Meloni e Salvini che «intercettano questa sfiducia nella democrazia», salvo «diventare come Prodi un attimo dopo». Per lui tra «i ceti più poveri, più deboli e meno attrezzati», manipolati, «viene voglia di fascismo, di nazismo».

Il riferimento non è solo all'Italia, ma Virzì attacca poi la leader Fdi: la presa di distanza dal fascismo «male assoluto» fu fatta da Fini «in modo molto più esplicito rispetto a quanto ha fatto Meloni». Che non si sarebbe spinta oltre per paura di perdere «una parte sempre più rilevante del suo elettorato», gente «abbruttita, che si tatua il Duce e la svastica».

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