Come è possibile che un appalto pubblico venga assegnato all'azienda che ha fatto l'offerta peggiore? Che il Comune di Milano, azionista di maggioranza assoluta della società che ha assegnato l'appalto, ci rimetta un sacco di soldi senza farlo sapere in giro? E che l'appalto finisca in mano a una ditta nel cui curriculum appaiono bancarottieri, titolari di fiduciarie estere e di tesori in paradisi fiscali? Che fine fa in tutto ciò la rinomata efficienza meneghina?
Al centro delle quattro domande sta un appalto che a un profano parrebbe di poco conto: il business dell'impacchettamento dei bagagli negli aeroporti, quegli apparecchi che a ridosso del check in consentono di avvolgere nel cellophan la valigia per evitare di trovarsela svuotata grazie all'inestirpabile piaga dei furti da parte del personale. Si tratta in realtà di un affare assai redditizio, anzi il più redditizio per metro quadro di tutti gli affari che ruotano intorno a un grande aeroporto. Più dei bar, più delle boutique. A contenderselo in giro per il mondo, un piccolo numero di società specializzate. La concorrenza a volte si fa aspra: qualche anno fa nell'aeroporto di Milano Linate tra il personale di due ditte finisce a botte, la Sea (controllata al 54,81 per cento dal Comune) caccia una delle due, la Safe Bag, accusandola di «ripetuti inadempimenti contrattuali» e affida l'intero appalto alla rivale, la True Star. Il tribunale civile obbliga Sea a fare una gara d'appalto vera e propria, e qui cominciano i problemi.
Alla gara si presentano in tre: vince chi fa l'offerta più alta, cioè chi è disposto a pagare più soldi a Sea per piazzare le sue macchine impaccabagagli a Linate e Malpensa. Al primo posto si piazza l'americana Zomaer con un'offerta di 3 milioni e mezzo, al secondo la True Star con 2.8 milioni, al terzo la Safe Bag, quella che era stata allontanata dopo le risse, che nel frattempo ha cambiato nome e si fa chiamare Trawell. Ha offerto solo 2,1 milioni. Ma Sea chiede alle altre due società di presentare al volo una fideiussione da tre milioni. Richiesta impossibile, diranno i periti entrati in scena poi. Ma intanto subentra la terza, la Trawell, ovvero Safe Bag, quella cacciata per le risse. Inevitabile il ricorso di Truestar al Tar, che blocca tutto. Così per ora a Milano il servizio non esiste più, e a supplire provvedono gruppi di extracomunitari sui marciapiedi dei terminal.
L'8 giugno il Tar ha fatto una nuova udienza, la decisione è attesa a breve. Nel frattempo il dato di fatto è che Sea, e quindi il Comune di Milano, si candidano a incassare un robusto gruzzolo in meno, proprio nel momento in cui il traffico aereo torna a ruggire insieme a tutto il suo indotto. A beneficiarne è un'azienda, la Seabag, che del business aeroportuale è una esperta navigatrice. Dietro c'è un veterano del settore, l'ex comandante di aerei Giuseppe Gentile, salito alla ribalta nel 2013 quando il suo nome comparve negli Offshore Leaks, le liste di possessori di beni in paradisi fiscali: veniva citata la Mariri Holdings, con sede a Macao, braccio operativo delle attività dell'ex comandante. Che è attivo in tutto il mondo, e non solo nel business aereo: nella sua orbita nasce la Moviemax, compagnia cinematografica finita poi in bancarotta, tra i cui amministratori c'era anche il finanziere Corrado Coen.
Coen è il primo socio di minoranza di Safebag, la società che diverrà Trawell, quando nel settembre 2013 la nuova creatura di Gentile debutta all'Aim, la Borsa delle piccole e medie imprese; poco più di un anno dopo Coen viene arrestato per aggiotaggio, e nel 2016 torna in carcere su richiesta del pm Bruna Albertini per associazione a delinquere.
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