L'Argentina potrebbe diventare il primo Paese dell'America latina ad avere una legge sull'aborto simile a quella italiana. Oggi, infatti, a Buenos Aires la Camera voterà il progetto di legge su cui il presidente Mauricio Macri ha dato il via libera qualche mese fa «se il Parlamento la approverà non porrò il veto ma la firmerò» ha detto l'inquilino della Casa Rosada - e se, poi, dovesse passare anche al Senato, a quel punto la nuova norma sarà realtà. Una realtà vista positivamente dalla maggioranza degli argentini che, stando a i sondaggi, vorrebbero che gli aborti clandestini cessassero.
Il tema è molto caldo visto che la proposta di legge prevede che qualsiasi donna e per qualunque motivo desideri interrompere la gravidanza possa farlo entro la 14esima settimana in una struttura pubblica, con tutte le cure gratuite del caso. In tutto il continente latinoamericano, oggi solo nella comunista Cuba gli ospedali statali accolgono le donne che entro la decima settimana intendano abortire, mentre in Uruguay il limite è stato fissato a 12 settimane. Differente, invece, il caso del Cile, dove semplicemente la donna non rischia più il carcere come in molte altre nazioni dell'America latina, ad esempio El Salvador e Nicaragua. Due stati governati dalla sinistra ma dove sono decine le donne - tutte povere, naturalmente, perché le ricche possono permettersi ospedali privati di lusso anche all'estero - ancora oggi in carcere, a scontare pene sino a 20 anni di reclusione. Condanne inferiori rischiano, invece, le donne che abortiscono in Bolivia, Ecuador, Brasile e Venezuela, altri quattro Paesi sul tema progressisti negli ultimi 20 anni più a parole che nei fatti, almeno stando all'iconografia delle lotte femministe nell'Italia degli anni 70.
Per l'Organizzazione Mondiale della Sanità, nonostante i divieti di legge, l'America latina è oggi il continente dove si pratica il maggior numero di aborti. Nella sola Argentina sono oltre mezzo milione le donne che ricorrono a tecniche clandestine e insalubri per evitare di avere un figlio e, in media, una di loro al giorno muore. Clamoroso il caso accaduto qualche tempo fa nella poverissima provincia di Salta, nel nord del Paese, dove il governatore Juan Manuel Urtubey si è visto costretto a respingere la richiesta delle madri di ben due bimbe di 11 anni, rimaste incinte dopo gli stupri dei patrigni.
Stando alle ultime che arrivano dalla capitale Buenos Aires, la situazione è al momento di perfetta parità, con 123 voti a favore della legalizzazione dell'interruzione forzata della gravidanza, altrettanti contrari e 9 indecisi che saranno determinanti per l'esito finale, atteso nella mattinata di domani. Imponenti le misure di sicurezza e, dalla mezzanotte la Camera sarà protetta da migliaia di poliziotti che divideranno l'area circostante in due blocchi contrapposti: uno tutto in verde - il colore di chi vuole la legalizzazione - l'altro che ha come simbolo un feto gigante, simbolo del movimento pro-vita.
Ieri, intanto, il deputato Facundo Garretón - che ha deciso all'ultimo di votare a favore - ha denunciato di avere ricevuto minacce di morte dopo che l'arcivescovo di Tucumán lo aveva citato espressamente nel Tedeum, come esempio da non seguire.
Insomma, tensione alle stelle con 12 istituti superiori di Buenos Aires occupati dagli studenti per discutere di aborto sino a domani mentre, a dimostrazione che le contraddizioni in politica sono all'ordine del giorno, l'oggi senatrice Cristina Kirchner ha annunciato il suo sì alla legge, dopo averne minacciato il veto per 8 anni, quando era presidente.
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