Quante giravolte. Quante inversioni a U. Quanti tatticismi e quante contraddizioni. Alle capriole di Matteo Renzi siamo abituati. Così come alle sue infinite campagne elettorali.
Ma è con il referendum che ha dato il meglio di sé. La messinscena è partita a gennaio 2016 definendo la riforma costituzionale come «la madre di tutte le battaglie». Il premier, sembra già passato un secolo, assicurava: «Non sono un politico vecchia maniera. Se perdo il referendum lascio la politica». Concetto ribadito in ogni dove da tutti i suoi pasdaran, in primis la sua valletta, Maria Elena Boschi.
A marzo rilanciava: in caso di sconfitta «è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica». A giugno chiedeva: «Secondo voi posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla?». Poi, visti i sondaggi disastrosi, il repentino cambio di rotta. Il «se perdo vado via subito e non mi vedete più» è diventato «ho sbagliato a personalizzare troppo, si voterà comunque nel 2018», anche se vincesse il No. Del resto stiamo parlando della stessa persona che prima di accoltellare Letta alle spalle, giurò e spergiurò che non sarebbe mai salito a Palazzo Chigi senza passare prima dal voto. Una perenne supercazzola insomma: «Come se fosse Antani».
29 dicembre 2015 - Conferenza stampa di fine anno: «Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica».
10 gennaio 2016 - Tg1: «Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona: io penso che si faccia politica per seguire un ideale. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità».
20 gennaio - Aula del Senato: «Ripeto qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica».
25 gennaio - Quinta Colonna: «Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se gli italiani diranno No, prendo la borsettina e torno a casa».
7 febbraio - Scuola di formazione del Pd: «Se perdo al referendum prendo atto del fatto che ho perso. Dite che sto attaccato alla poltrona? Tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona».
12 marzo - Scuola di formazione del Pd: «Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica».
20 marzo - Congresso dei Giovani Democratici: «Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più».
18 aprile - Tg1: «La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere più semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c’entra niente. Certo io se perdo vado a casa».
27 aprile - Maria Elena Boschi a Otto e Mezzo: «Si voterà sul merito delle riforme. Sono altri che cercano di trasformarlo in un referendum sul governo. Questo è un segnale di serietà. Se un governo ha avuto il mandato da Napolitano a fare le riforme se queste poi non passano è normale che ne prenda atto».
28 aprile - #matteorisponde: «Se il referendum vedrà sconfitto il Sì, trarrò le conseguenze. So da dove vengo e so che la politica è servizio. Sto personalizzando? No, se perdi una sfida epocale che fai? Racconti che i cittadini hanno sbagliato? No hai sbagliato tu».
2 maggio - Ansa: «La rottamazione non vale solo quando si voleva noi. Se non riesco vado a casa».
4 maggio - Rtl 102.5: «Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone».
8 maggio - Che tempo che fa: «Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica. Non è personalizzazione ma serietà».
11 maggio - Ansa: «Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro».
18 maggio - #matteorisponde: «Quando provo a entrare nel merito, mi dicono che ho personalizzato il referendum. Ma io ho detto che se perdo non è che posso fare la faccia contrita e dire, schiarendomi la voce, che dopotutto è stato un buon risultato. Io cerco di vincere, sempre, quando perdo, talvolta mi è accaduto come alle primarie del 2012, ammetto la sconfitta».
21 maggio - L’Eco di Bergamo: «Se lo vinciamo, l’Italia diventerà un Paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona. Questa è personalizzazione? No. Questa è serietà».
22 maggio - In mezz’ora: «Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via».
22 maggio - Ansa: «Io ho preso l’impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa. Non la vedrei come una personalizzazione del referendum né un ricatto».
22 maggio - Ernesto Carbone, membro della segreteria Pd: «Non si lascia la politica se vince il No per fare un dispetto, non si scappa con la palla in mano. È una questione di serietà».
29 maggio - Dario Franceschini su Repubblica: «Il ritiro in caso di vittoria del No non è una minaccia, non è una personalizzazione. A me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio».
29 giugno - e-news: «In tanti stanno cercando di non parlare del merito del referendum. Parlano di me. Dicono che io ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro?».
15 luglio - e-news: «Ogni giorno che passa diventa più chiaro che il referendum è sulla Costituzione, sul funzionamento del Parlamento e non su altro: questo ci aiuta molto a crescere nei consensi». 2 agosto - Cnbc: «Sono sicuro che vincerò il referendum, ma non perché questa sarebbe la mia vittoria, non è il referendum di Renzi». Si dimetterà se perde? «Vincerò».
9 agosto - Festa de L’Unità di Modena: «Anch’io ho sbagliato delle volte a dare dei messaggi: questo referendum non è il mio referendum. Ho sbagliato a personalizzare la riforma».
21 agosto - Versiliana: «Si vota nel 2018». Comunque vada il referendum? «Sì, si vota nel 2018».
15 settembre - Festa de L’Unità di Bologna: «A casa ci vado volentieri, ma resto al governo finché ho la fiducia del Parlamento».
26 settembre - Consiglio dei ministri: «Si voterà il 4 dicembre. La partita è adesso e non tornerà. Non ci sarà un’altra occasione».
29 ottobre - Luca Lotti dai Liberal democratici per il Sì: «Se non passa la riforma, se vince il No, non vanno a casa Renzi o Lotti. Chi vota No blocca il futuro del Paese».
14 novembre - Radio Monte Carlo: «Io di restare a vivacchiare e galleggiare non sono adatto. Cosa significa? Lo vedremo il 5 dicembre. A quelli a cui sto sulle scatole dico che quello del 4 dicembre non è un voto sulla mia simpatia ma sul Paese. Vi rendete conto che c’è chi vota no per farmi un dispetto? Riflettete».
17 novembre - Ansa: «Io non posso essere quello che si mette d’accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio». 20 novembre - L’Unione Sarda: «È molto semplice: se perdo il referendum, questo governo cade».
28 novembre - Mattino Cinque: «Qui non c’è scritto cosa pensate del governo, se è simpatico o no Renzi. Quello che accadrà dopo lo vedremo dopo».
28 novembre - Conferenza stampa con Pier Carlo Padoan: «State tranquilli. Il governo c’è sempre, politico o tecnico, super politico, iper tecnico».
29 novembre - Maria Elena Boschi a Otto e Mezzo: «Il 4 dicembre non siamo chiamati a scegliere sul governo ma sulla Costituzione».
30 novembre - Palaindoor di Ancona: «Non vi aspettate che io diventi come gli altri. Io non galleggerò dalla mattina alla sera, non sono quello che fa accordicchi alle spalle dei cittadini. Per questo possono chiamare qualcun altro».
30 novembre - Adnkronos: «Io preferirei non ci fosse da lunedì mattina un governo tecnico, ma se gli italiani non vogliono le riforme bisogna prendere atto di questo. Io non sono come gli altri, aggrappato alla poltrona. Sto in politica se posso cambiare il Paese».
30 novembre - Matrix: «Sono un boy scout, non voglio diventare come gli altri. Il mio lavoro è per cambiare il Paese. Se vogliono un bell’inciucione se lo fanno da soli».
30 novembre - Repubblica tv: «Domenica non si vota su di me. Che ci siano delle conseguenze è un altro discorso. Ho sbagliato nell’eccesso di personalizzazione. Errare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico. Io faccio al massimo un altro giro. Se poi gli italiani dicono no, preparo i pop corn per vedere in tv i dibattiti sulla casta».
30 novembre - Dario Franceschini al video forum del Corriere della Sera: «Se il referendum è sulla Costituzione e non sul governo, a me pare naturale che il governo debba proseguire la sua azione fino al
termine della legislatura, anche in caso di sciagurata vittoria del No».1° dicembre - Mattino Cinque: «Penso che l’Italia abbia bisogno di essere governata, accompagnata, presa per mano e portata nel futuro.
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