Chiunque abbia mai combattuto sa che il nemico è quasi sempre invisibile, perché per sopravvivere bisogna restare al riparo.
Nel combattimento urbano è molto peggio per chi attacca, perché il nemico invisibile può essere un cecchino dietro una finestra - e un qualsiasi condominio delle migliaia di Gaza ha dozzine di finestre - oppure può aspettare con lanciarazzi steso a terra. I mortai, che lanciano le loro bombe con la parabola di una U rovesciata, sono eccezionalmente preziosi nel combattimento urbano perché possono attaccare le forze da tre strade di distanza, ben oltre la portata di un contrattacco immediato.
Questo è il motivo per cui, dall'inizio della controffensiva israeliana a Gaza, quasi tutti gli esperti militari, compresi colonnelli e generali, hanno immediatamente avvertito che l'invasione israeliana di Gaza non avrebbe potuto in alcun modo sconfiggere Hamas, ma che avrebbe sicuramente comportato un numero spaventoso di vittime, prima di sfociare in una situazione di stallo sanguinosa e strategicamente inutile.
E questo prima che ci si rendesse conto che c'erano centinaia di chilometri di tunnel sotto Gaza. Nella fattispecie, l'affollato campo di battaglia urbano offre infinite opportunità per la più semplice delle tattiche: i combattenti di Hamas possono essere dei perfetti civili che camminano al fianco di donne e bambini fino al momento in cui si infilano nella porta giusta per prendere le armi e uscire sparando. Eppure a oggi, dopo 128 giorni di combattimenti sia a Gaza che nel nord contro Hezbollah, sono morti 562 soldati israeliani un totale che include i 373 morti il 7 ottobre, quando tutti tutti i soldati disponibili si sono precipitati a combattere gli infiltrati di Hamas. Anche una sola morte è immensamente tragica per un'intera famiglia, ma il fatto è che le perdite israeliane nella controffensiva finora sono state molto basse, un numero molto piccolo, data l'entità delle forze in azione e l'eccezionale complessità del campo di battaglia urbano.
Indipendentemente da ciò che accadrà in futuro, fino ad oggi i combattimenti a Gaza sono stati vittoriosi: più di 10.000 combattenti di Hamas sono stati uccisi, con un numero uguale di feriti.
Il sensazionale rapporto di uno su cinquanta uccisioni ottenuto da Zahal nella lotta contro Hamas a Gaza è ancora più impressionante per una ragione che né Washington né Gerusalemme si preoccupano di menzionare: Israele ha un gran numero di cannoni Howitzer calibro 155 mm utilizzati da tutti gli eserciti occidentali, ma possiede anche molti mortai da 160 mm di fabbricazione israeliana. Eppure né gli obici né i mortai sono stati usati molto a causa dei continui avvertimenti degli Stati Uniti sulle vittime civili. Lo stesso vale per l'uso delle forze aeree israeliane. La loro capacità di bombardamento è maggiore di quelle britanniche e francesi messe insieme, ma solo una frazione è stata utilizzata nei combattimenti di Gaza a causa delle insistenti richieste della Casa Bianca.
Tutto ciò rende ancora più notevole il successo israeliano nei combattimenti fino ad oggi.
Una ragione è nota a tutti: nessun soldato viene mandato in combattimento senza almeno 18 mesi di addestramento intensivo. Un'altra ragione è che l'Idf (la forza di difesa israeliana) non si illudeva che l'addestramento della fanteria fosse sufficiente per avventurarsi nei tunnel di Hamas pieni di trappole esplosive e subdolamente collegati. Circa 25 anni fa, Zahal fondò Yahalom («diamante» in ebraico), l'unità da combattimento per la guerra nei tunnel, addestrata a fronteggiare ogni situazione: quando le truppe che avanzano scoprono un tunnel, si fermano finché i soldati Yahalom non arrivano per aprire la strada con molta attenzione.
Infine, c'è l'equipaggiamento, in gran parte esclusivo dell'Idf, e già molto richiesto dagli eserciti stranieri. I carri armati israeliani Merkava - a differenza degli apparentemente formidabili tedeschi Leopard, che non riuscirono a guidare l'offensiva ucraina - non sono stati penetrati dagli straordinari missili russi Kornet di cui dispone anche Hamas, perché ogni Merkava è dotato di un mini-radar e di un mini fucile per intercettare missili e razzi in arrivo a distanza ravvicinata.
Unico in Israele è anche il Namer, il veicolo senza torretta corazzato più pesante del mondo che consente alle truppe israeliane di muoversi nel pericoloso spazio urbano completamente protette dai cecchini e dalle armi anticarro. Nel Namer nessuno deve stare in un portello aperto per vedere il mondo esterno a 360 gradi, perché l'equipaggio può vedere tutto su grandi schermi le cui immagini provengono da microcamere integrate in modo sicuro nell'armatura.
Anche quando i soldati israeliani a Gaza devono avanzare a piedi, sono guidati dagli avvertimenti e dalle indicazioni dei comandanti che possono monitorare i loro movimenti e eventuali nemici nelle vicinanze con le telecamere dei loro mini-droni. Al giorno d'oggi anche l'Iran produce droni, ma Israele è stato il primo Paese a produrli circa sessant'anni fa, e ancora oggi è all'avanguardia: sono particolarmente utili a Gaza perché occorrono molti occhi per sorvegliare il complicatissimo paesaggio urbano.
Niente di quanto sopra avrebbe importanza se le truppe che combattono a Gaza non fossero determinate ad annientare Hamas. La prova migliore di ciò è fornita da un malinteso: i soldati di un battaglione, messi fuori combattimento per l'imminente arrivo di una nuova unità, pensavano erroneamente che Israele stesse iniziando a ritirarsi e inscenarono una protesta finché non furono rassicurati (e anche rimproverati per aver protestato mentre erano ancora in uniforme).
La vittoria tattica che Hamas ha ottenuto il 7 ottobre, si sta tramutando in una sconfitta strategica, costringendo il governo a persistere nonostante l'atroce situazione degli ostaggi, motivando le truppe dell'Idf a combattere fino alla sua distruzione, e perdendo gran parte del potenziale sostegno anche all'interno del mondo arabo, consentendo a tutti i governi arabi di mantenere relazioni diplomatiche con Israele. Il governo di coalizione è d'accordo sul continuare a combattere per vincere la guerra.
In nessuna battaglia recente l'obiettivo era la vittoria, né in Afghanistan né in Irak, dove si trattava invece di «costruzione di una nazione» o di «stabilizzazione». Ora si scopre che è meglio combattere alla vecchia maniera, per la vittoria.
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