E adesso, «cara Giorgia al lavoro». Ha un tono quasi paterno il capo dello Stato mentre le spiega quattro cose prima di conferirle ufficialmente l'incarico. «Guarda che non sarà una passeggiata - dice - perché i problemi da affrontare sono tanti e difficili. Ma qui troverà sempre ascolto e spirito di collaborazione». La Meloni ringrazia e sorride: «Presidente, stia tranquillo, ce la metterò tutta». Dura più di un'ora il faccia a faccia tra Sergio Mattarella e la prima donna premier della storia italiana. Lei arriva in 500 bianca con i capelli sciolti come la riserva: problemi superati, squadra pronta, lista in tasca e già abbondantemente concordata con il Quirinale. Pacificata la maggioranza, rassicurato il capo dello Stato sulla tenuta numerica, confermata la fedeltà agli impegni internazionali, il colloquio è in discesa. Alle sei di sera tocca a Mattarella comparire nella Loggia alla Vetrata e fare il punto. «Questa volta il tempo è stato breve. È passato meno di un mese dalla data delle elezioni». Sembra soddisfatto, la macchina democratica ha funzionato, la transizione è stata ultrarapida, le procedure ridotte: le consultazioni sono durate meno di due giorni, un record, ma del resto non c'era un piano alternativo. «Ciò è stato possibile per la chiarezza dell'esito elettorale. È stato necessario procedere velocemente anche in considerazione delle condizioni interne e internazionali che esigono un governo nella pienezza dei suoi poteri».
L'elenco è lungo. Si va dalla crisi energetica alle riforme per il Pnrr, dalla guerra al Covid alle famiglie in difficoltà per le bollette. E c'è una legge Finanziaria da approvare subito: per fortuna a Palazzo Chigi sedeva Draghi che ha già fatto gran parte del lavoro, come fa notare Mattarella, e che ha retto l'Italia durante la transizione, ben oltre l'ordinaria amministrazione. «Il governo uscente, nei tre mesi esatti dalla data di scioglimento delle Camere, ha fatto fronte alle esigenze di guida del Paese, concludendo la sua attività con il Consiglio Europeo. Lo voglio ringraziare ancora una volta».
Insomma, dopo i venti mesi di SuperMario il parametro richiesto è alto, la pietra di paragone molto impegnativa. Ma sono tempi difficili, si sa. Ora comunque tocca a Giorgia, che ha stravinto le elezioni e che adesso deve governare. Risultato «chiarissimo», ripete il capo dello Stato, il mandato non poteva che andare a lei, leader del primo partito della coalizione vincente, maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Se non fosse riuscita a saldare l'alleanza, se non avesse dato la stretta finale, per il Colle le uniche alternative sarebbero state un incarico al buio o un nuovo scioglimento.
Invece eccola la Meloni che si dice «pronta». Il presidente la incoraggia così: «Rivolgo con spirito di collaborazione gli auguri di buon lavoro al nuovo governo che da domani mattina dopo il giuramento inizierà a svolgere la sua attività». Poi tira un sospiro di sollievo, viste le acque agitare della vigilia. Infatti in mattinata, quando al Quirinale si è presentata la folta delegazione del centrodestra, si respirava ancora una certa preoccupazione. Gli scontri interni delle ultime settimane, i dispetti tra gli alleati, gli audio rubati, il braccio di ferro sui ministri, le incertezze sulla politica estera: tutto ciò aveva reso molto traballante l'intesa. C'è voluto un duro lavoro di mediazione per presentarsi uniti al capo dello Stato, Durante la consultazione le cose sono andate lisce. Ha parlato solo la Meloni, a nome di tutte le forze della coalizione, e ha spiegato che l'intero centrodestra indicava lei cine premier. Gli altri zitti, nessun distinguo e niente polemiche. Al punto che Mattarella che ha dovuto chiedere: «Siete tutti d'accordo?».
La risposta è stato un sì generale.Al quel punto il presidente si è preso qualche ora di riflessione e di verifiche ulteriori prima di convocare Giorgia Meloni per le 16,30. Un incontro, riferiscono, «disteso, cordiale e costruttivo».
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