L'aula bunker fantasma finisce in tribunale

Dopo tre ritocchi i costi lievitati dai 3 milioni del 1996 agli 11 attuali. E i magistrati di Milano presentano una denuncia alla procura e alla Corte dei Conti

L'aula bunker fantasma finisce in tribunale

E adesso la giustizia milanese dovrà occuparsi di se stessa. Dovrà spiegare come sia stato possibile che milioni di euro siano stati investiti in un cantiere senza fine per realizzare una specie di ecomostro attaccato a un carcere, un’opera in ballo da diciotto anni e la cui fine sembra ancora lontana, che ha inghiottito soldi e risorse senza un piano preciso, con progetti che cambiavano in corso d’opera per inseguire le pretese dei magistrati in continuo mutamento. Una nuova aula bunker, per ospitare i maxiprocessi che ormai non esistono quasi più, è diventata un simbolo di come l’eterna doglianza sulla mancanza di risorse per la giustizia nasconda anche assurdi sprechi di quattrini.

Il cantiere infinito per l’aula bunker di Opera si raggiunge solo infangandosi le scarpe nei campi, perché una strada che vi arrivi senza dover attraversare il carcere non c’è, e non è previsto che ci sia, perchè i terreni non sono mai stati espropriati. Se ne sono dovuti rendere conto i magistrati della procura generale e della Corte d’appello che nei mesi scorsi hanno voluto farvi un sopralluogo, per capire a che punto fosse l’opera. E di fronte a quello che hanno visto - un cantiere fatiscente prima ancora di essere terminato, i soffitti sfondati, i sotterranei allagati, le gabbie dei detenuti già arrugginite - non hanno potuto fare altro che inviare un doppio esposto: uno alla Corte dei conti, per accertare eventuali (ma in realtà palesi) sperperi di denaro dello Stato, uno alla Procura della Repubblica, perché accerti se e quali reati abbiano accompagnato questa surreale opera pubblica.

Il progetto nasce nel remoto 1996, e prevede la realizzazione di due aule bunker affiancate, costo previsto sette miliardi di lire più Iva: e son già tanti soldi, anche perché i magistrati hanno chiesto un piano in più, comprensivo di camere da letto con bagno per tutti i magistrati e i giudici popolari che compongono le Corti d’assise. Nel 1999, quando le opere iniziano davvero, il costo previsto è già salito a 12 miliardi e 644 milioni, non si capisce bene perchè. Nel 2002 si rende necessario un nuovo contratto di appalto, anche perchè i giudici hanno già iniziato con le richieste di modifica, disponendo che si realizzasse una sola aula bunker anziché due, e destinare il resto all’archivio, visto che l'attuale sede dell'archivio a Palazzo di giustizia scoppia, e il tribunale è costretto a affittare spazi qua e là.. «Questo problema della richiesta di cambiamenti in corso d’opera - spiega al "Giornale" Pietro Baratono, provveditore regionale alle opere pubbliche - è stato una delle cause dei ritardi e della crescita dei costi». Le aziende appaltatrici falliscono, nel 2006 la direzione lavori chiede e ottiene uno stanziamento di altri cinque milioni di euro promettendo di finire i lavori del primo lotto in un paio di mesi e dell'intera opera entro il 2010. Ma nel 2010 il cantiere è ancora fermo, anzi si scopre che la falda acquifera ha invaso il sotterraneo, dove erano previste le gabbie per gli imputati, e sta mandando tutto in malora: che l'acqua potesse risalire, visto che siamo in una zona di rogge e fontanili, era abbastanza ovvio, ma nessuno ne aveva tenuto conto. Insieme all'acqua che sale dal suolo, ci sono i danni dell'acqua che scende dal cielo: una perizia accerta che anche i soffitti appena costruiti cedono sotto il peso delle piogge. Nel 2013 il Provveditorato alle opere pubbliche indica in altri sei mesi il tempo necessario per concludere l’opera.

Il committente, cioè la magistratura milanese, sembra disinteressarsi a lungo della cosa. Il progetto è stato voluto, ma adesso nessuno se ne vuole assumere la paternità. Ma alla fine qualcosa si deve muovere per forza, perchè le chiacchiere sul cantiere di Opera stanno raggiungendo il livello di guardia, e anche perché vengono chiesti ulteriori fondi. Parte l’ispezione. Per la Corte d'appello viene spedito sul cantiere il giudice Pietro Gamacchio, per la Procura generale il sostituto Nunzia Ciaravolo. Ne escono con le mani nei capelli. Nella sua relazione, la Procura generale «constata il degrado delle opere già realizzate e lo stato di abbandono del cantiere». E parte l’esposto alla Procura e alla Corte dei conti. L’impresa promette di ripartire e di chiudere i lavori entro il prossimo luglio.

Ebbene: il "Giornale" è entrato nel cantiere. Ed è chiaro che neanche per luglio sarà terminato, neanche se i pochi operai che vi si aggirano lavorassero anche di notte. Ma è altrettanto chiaro che se e quando sarà finito, sarà un mostro senza senso, figlio di una concezione della giustizia già obsoleta quando il piano è partito, e ora difficilmente accettabile. L'aspetto più desolante sono le gabbie in cui i detenuti dovrebbero aspettare l’udienza, un reparto da denuncia alla convenzione di Ginevra: sotto il livello del suolo, senza finestre, gradoni di cemento come unico appoggio.

L’aula di udienza colloca il pubblico e persino la stampa in una specie di loggione separato dall’aula da un vetro blindato. Le stanze all’ultimo piano che dovrebbero ospitare i sonni dei magistrati e dei giudici popolari durante le camere di consiglio sono dei loculi, alcuni dei quali senza finestre e senza bagno, ed è del tutto impensabile che i giudici accettino di passarvi la notte. Se l'idea di fondo era risparmiare i costi degli alberghi dove attualmente le giurie passano la notte durante le camere di consiglio conclusive dei processi (durante le quali giudici togati e popolari sono costretti a una sorta di clausura), nè la ubicazione nè la realizzazione sembrano idonee a immaginare che questo possa accadere nel bunker di Opera.

Senza pensare ai costi di gestione: dalla vigilanza armata, al riscaldamento, alle utenze, fino al personale di servizio: a meno di non immaginare che, mentre decidono la sorte dei loro imputati, i giudici si rifacciano il letto da soli.

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