L'autogol dei pm contro Izzo: il terzino assolto dall'accusa di mafia

Prosciolto con formula piena. Ma per la procura essere nipote di uno dei fondatori del clan era un reato

L'autogol dei pm contro Izzo: il terzino assolto dall'accusa di mafia
00:00 00:00

Oggi alle 12,30, stadio di Cagliari: in campo col Monza scende un giocatore che la partita più difficile della sua vita l'ha appena vinta.

Si chiama Armando Izzo, coriaceo difensore di fascia. È nato 33 anni fa, ma non in un posto qualunque: a Scampia, il quartiere simbolo del degrado napoletano, della commistione tra povertà e malavita. È tutta lì la colpa che l'ha trascinato sotto processo per nove lunghi anni, con accuse infamanti: essere al soldo dei clan della camorra, e vendere le partite per arricchirli. Era tutto falso. Ma l'accusa e l'inchiesta lo hanno accompagnato nel suo peregrinare da una squadra all'altra. Ha cambiato tre maglie, e tutte le ha indossate con onore: il Genoa, il Torino, adesso il Monza. Ma addosso aveva quell'accusa infamante. Il 4 maggio 2023, mentre era già a Monza, gli era arrivata addosso la batosta: il tribunale di Napoli lo aveva condannato a cinque anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa e frode sportiva. Nella sentenza i giudici parlavano di «riprova palmare della sua colpevolezza», sostenendo che «è acclarata la disponibilità del calciatore alle iniziative del clan Vinella Grassi di Secondigliano».

L'altroieri, arriva la sentenza d'appello e ribalta tutto: assolto con formula piena, «il fatto non sussiste». Una sentenza che arriva alla siderale distanza di undici anni dalla partita che Izzo era accusato di avere «aggiustato»: Modena-Avellino del campionato 2013-2014. Izzo giocava ad Avellino e insieme a due suoi compagni avrebbe giocato «a perdere», su richiesta del clan che avevano puntato pesante sul Modena. Ad accusarlo, un pentito: che poi quando arriva in aula non riesce a dare dettagli, a spiegare bene come Izzo fosse stato corrotto. Il tribunale lo condanna ugualmente, anche se lo assolve dalla seconda accusa di combine, per Avellino-Reggina dello stesso campionato.

Il blitz della Procura di Napoli, che colpisce anche altri tre ex dell'Avellino, è del 2016. In questi nove anni un altro al posto di Izzo si sarebbe perso. Invece lui no, anzi diventa sempre più forte, sbarca in serie A, arriva persino una chiamata in Nazionale, come se quella zavorra non gli pesasse sul cuore e sui polpacci: «Mi hanno insultato, deriso, diffamato e urlato di tutto», scrive ieri su Instagram.

Al Monza arriva nel 2022, e trova una famiglia che crede in lui come uomo oltre che come calciatore. «Ac Monza e Adriano Galliani, da sempre vicini ad Armando nel sostenerlo in ogni passo di questa vicenda, accolgono con soddisfazione questa notizia», scrive il club biancorosso dopo l'assoluzione. E Galliani, a chi lo cerca ieri, fa sapere semplicemente: «sono molto felice».

Ma intanto, quasi in ogni stadio, Izzo ha trovato la brutalità di chi gli urlava «mafioso» e «venduto».

«Ho dovuto dimostrare due volte di meritare la serie A e la Nazionale, ho sempre rialzato la testa e avuto dignità per me, le mie bambine e la mia famiglia». Nelle prime notizie dell'inchiesta contro di lui si poteva leggere: «Di Izzo la procura sottolinea la circostanza che il difensore è nipote di uno dei fondatori del clan». Nipote, e quindi colpevole.

LF

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica