Dal lavoro all'ambiente, quel solco che divide maggioranza e opposizione

Sulle sfide dell'economia emergono divergenze inconciliabili. La distanza anche dai renziani sul Mes e sul bando ai motori termici

Dal lavoro all'ambiente, quel solco che divide maggioranza e opposizione

Un solco profondo e incolmabile. È quello che separa la maggioranza di governo dall'opposizione di sinistra e la cui vastità si è palesata definitivamente ieri nel question time alla Camera nella contrapposizione tra il premier Giorgia Meloni e i suoi interroganti, a partire da Elly Schlein.

L'economia (oltre ai cosiddetti «diritti civili») è la materia che porta alla luce l'inconciliabilità delle rispettive posizioni. «Penso che sarebbe molto più efficace estendere la contrattazione collettiva anche nei settori dove non è prevista e tagliare le tasse sul lavoro e lavorare per combattere le discriminazioni e le irregolarità», ha detto Meloni interpellata sul salario minimo, ricordando quanto disposto nella legge di Bilancio. Il salario minimo, al contrario, potrebbe rappresentare una soglia entro la quale contenere le retribuzioni privilegiando le parti datoriali in un Paese nel quale «chi ha governato sino ad ora ha reso più poveri gli italiani e noi dobbiamo invertire la rotta», ha ricordato Meloni.

Per Schlein, invece, si tratta dell'unico obiettivo da conseguire in materia da relazioni industriali, a dispetto della dinamica parlamentare. «Vada a dirlo a chi ha una paga da fame. Il Pd ha presentato una proposta come altre forze politiche, ma le avete respinte tutte. Le chiedo di approvare subito un salario minimo e un congedo paritario», ha replicato senza concedere nulla al dialogo. Un aut aut totalmente decontestualizzato dal quadro congiunturale, tipico di una visione vetero-marxista che riduce le questioni del lavoro a una dialettica tra capitale e proletariato.

Anche la parte meno intransigente delle sinistre, tuttavia, si è mostrata poco incline a superare l'attaccamento ai propri totem. Come il terzo Polo nel caso del Mes. Il premier ha rimarcato che la mozione parlamentare approvata a novembre prevede di «non aprire il dibattito in assenza di un quadro chiaro in materia di governance, di Patto di stabilità e in materia bancaria». Escludendo qualsiasi accesso al fondo durante la sua premiership e citando il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha evidenziato che «se noi riteniamo che il nuovo regolamento del Mes non sia nell'interesse del Paese, si dovrebbe discutere di usarlo come uno strumento di politica industriale». Per il renziano Luigi Marattin queste argomentazioni (cioè non richiedere aiuti per evitare l'arrivo della Troika Ue; ndr) equivalgono ridurre «la politica a uno show di quinta serie».

Non meno insuperabili appaiono le barriere tra il governo e la sinistra radical-ambientalista. Nell'ordine Meloni ha spiegato che il no alla proposta di regolamento che mette al bando i motori endotermici dal 2035 è finalizzato a sollecitare l'Ue sul «percorso della neutralità tecnologica», ossia includere anche i bio-carburanti nel pacchetto per non «delocalizzare la produzione automobilistica in Paesi extraeuropei» in quanto «non si può devastare il nostro sistema produttivo e creare altri disoccupati». Idem per le case green, una scelta «irragionevole e mossa da un approccio ideologico» che «impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della nazione». A queste tesi il verde Angelo Bonelli ha replicato che il governo «vuole condannare l'Italia a essere ancora prigioniera delle fonti fossili e del nucleare».

Anche illustrando la delega fiscale, che andrà oggi in Consiglio dei ministri e che è stata salutata positivamente dalle associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, Meloni ha ribadito che «è basata su tre principi cardine: riduzione della pressione fiscale; un nuovo rapporto non vessatorio ma paritetico tra

Stato e contribuente e reale lotta all'evasione». Alla sinistra non piace, ça va sans dire, e pertanto si schiera affianco alla Cgil e del suo segretario Maurizio Landini: «Il governo ritiri la delega o sarà mobilitazione».

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