Renzi vuole abolire i contratti precari: "Ma l'imprenditore ha diritto di licenziare"

Domani direzione Pd sul lavoro. Renzi: "Via articolo 18 e contratti da precari". La minoranza: "No a derive a destra"

Renzi vuole abolire i contratti precari: "Ma l'imprenditore ha diritto di licenziare"

Se la scissione ventilata ieri dal "ribelle" Pippo Civati è una spacconata per mettere paura a Matteo Renzi o un ultimatum irrevocabile, lo si vedrà alla direzione nazionale del Pd che domani esaminerà il nodo della riforma del mercato del lavoro. Sulla carta il premier-segretario ha i numeri sufficienti per approvare il Jobs Act e, in particolar modo, la parte che riguarda l'abolizione dell'articolo 18. I fedelissimi del Renzi-pensiero (dal ministro Maria Elena Boschi a Lorenzo Guerini, da Debora Serracchiani a Luca Lotti) controllano, infatti, il 67% della direzione e appoggiano in pieno il progetto di riformare le regole sul lavoro. Del "gruppone" renziano fanno parte anche i seguaci di Dario Franceschini tra cui spicca il capogruppo in Senato Luigi Zanda.

Il "parlamentino" del Pd è composto sulla base dei risultati delle primarie dell’8 dicembre 2014, dove il premier ottenne una larghissima maggioranza. Ma nel Pd non bisogna mai dare nulla per scontato. "Io non sono un massone, sono un boy scout. La verità è che io non omaggio certi poteri e questa è la reazione". In un lunga intervista a Repubblica, rilasciata alla vigilia della direzione del Pd, Renzi ha messo in chiaro che sul Jobs Act non si tratta. Prendere o lasciare. "Se qualcuno pensa di volerlo sostituire si accomodi pure - ha spiegato - ma il Pd, il partito del 41%, non accetterà farsi da parte". Ed è il "partito del 41%", quello che ha sbancato alle europee, quello che vuole imporre la propria linea alla minoranza piddina che, insieme ai sindacati, è pronta ad andare allo scontro frontale. "Domani in direzione gufi e parrucconi che sperano nella deflagrazione resteranno male - ha messo in chiaro anche il sottosegretario Angelo Rughetti - il Pd del 41% troverà una soluzione condivisa".

Ospite a Che tempo che fa è stato proprio Renzi a spiegare che tipo di riforma ha in mente: "Quando hai un disoccupato non devi fare una battaglia ideologica sull'articolo 18, ma devi fare in modo che trovi un lavoro". Da qui l'obiettivo, oltre ad abolire il totem dell'artidolo 18, di cancellare i vari co.co.co e co.co.pro. "Cancelliamo il precariato e tutte quelle forme di collaborazione che hanno fatto del precariato la forma prevalente del lavoro - ha continuato - non voglio che la scelta di licenziare o assumere sia in mano ad un giudice, deve essere in mano all'imprenditore". Renzi non risparmia una stoccata a Camusso e compagni che ha minacciato lo sciopero generale: "Il sindacato è l'unica impresa che sta sopra i 15 dipendenti e non ha l'articolo 18. È il sindacato, che poi ci viene a fare la lezione".

Oltre ai fedelissimi del renzismo, il segretario ha dalla sua i "giovani turchi". L'area, che raccoglie un gruppo di quarentenni di provenienza Ds, si è infatti spostata su posizioni vicine a quelle di Renzi, anche sulla riforma del lavoro e sull’articolo 18. Il leader è Matteo Orfini, presidente del partito. Che sta lavorando per scongiurare il muro contro muro: "Dobbiamo trovare l’accordo in direzione e credo che ci siano tutte le condizioni per farlo". Giovane turco è anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Anche i Popolari raccolti intorno a Beppe Fioroni, che al congresso avevano appoggiato Gianni Cuperlo, hanno assicurato il proprio appoggio all riforma del mercato del lavoro. Enrico Letta, invece, ha sciolto il proprio gruppo decidendo di tenersi fuori dalle polemiche sebbene i suoi (tra i quali c'è anche il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia) abbiano più volte espresso qualche riserva sul Jobs Act.

Nonostante l'ottimismo di Renzi, la direzione di domani si preannuncia incandescente. A sentir parlare Pierluigi Bersani non ci sarà alcuna scissione: "Chi ha la responsabilità di dirigere deve trovare una sintesi...". L'aria che tira al Nazareno, però, non è certo distesa. Anzi. E a infiammare gli animi non poteva che essere Massimo D'Alema che, ospitato dal nuovo corso antirenziano del Corriere della Sera, spara ad alzo zero contro il segretario: "L’unica vecchia guardia con cui Renzi interloquisce è quella rappresentata dal centrodestra di Berlusconi e Verdini. Al Pd vengono poi imposte, con il metodo del centralismo democratico, le scelte maturate in quegli incontri privati". È proprio il Patto del Nazareno a indispettire la minoranza piddina. Tra questi la sinistra dem che ha per leader Cuperlo, anche se il punto di riferimento resta sempre Bersani. Spingono per modificare in modo sostanziale il Jobs act e bollano come "di destra" la posizione di Renzi sull’articolo 18. Anche tra i bersaniani, però, la linea non è affatto omogenea: mentre Cuperlo e il capogruppo alla Camera Roberto Speranza sembrano più disposti a trattare, Stefano Fassina, Cesare Damiano e lo stesso Bersani sono più intransigenti. Sono, tuttavia, i civatiani ad avere una posizione più irremovibile sul Jobs Act.

È stato proprio Civati, in un'intervista a Radio Montecarlo, a evocare la possibilità di una scissione. Con lui ci sono Corradino Mineo e e Felice Casson, ma in direzione su pochi rappresentanti.

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