L'avventura fatale di "Korra": l'alpinista è morto sulle Ande

Corrado Pesce era rimasto bloccato sul Cerro Torre, un drone lo ha trovato. La sorella: "Non riesco a crederci"

L'avventura fatale di "Korra": l'alpinista è morto sulle Ande
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Col trascorrere dei giorni sono passate anche le ultime speranze, appese ad un ultimo volo di droni. Corrado Pesce è morto sul Cerro Torre che sognava di scalare. L'alpinista e guida alpina novarese da venerdì mattina era bloccato sul Cerro Torre, 3.128 metri, uno dei picchi più solenni e difficili della Patagonia.

«Korra» è stato travolto da una scarica di neve, detriti e sassi e ferito gravemente: incapace di muoversi per le fratture è stato aiutato dal compagno Tomas Aguilo, altrettanto coinvolto nell'incidente che li ha privati anche di tutta la attrezzatura, sospesa in parete su una corda. Tomas ha accompagnato «Korra», fin dove era possibile, ad piccolo bivacco fra le rocce, poco più di una rientranza, che gli ha addetti chiamano «El box de los ingleses». Poi l'inevitabile sorte degli alpinisti professionisti che si legano in cordata, finché sorte non li separi. Aguilo è riuscito a scendere e a dare l'allarme. Avvertita l'ambasciata italiana, è stato trasportato in elicottero ad El Chalten, porta d'ingresso ad ogni scalata nel parco nazionale di Los Glaciares da dove, nel frattempo, la macchina dei soccorsi si è messa in moto, sia per via aerea sia a piedi con una trentina di volontari. Fra sabato e domenica le ricerche si sono dovute spesso fermare e poi riattivare, di fronte al maltempo e all'evidenza che per Pesce, esperto scalatore che da anni viveva a Chamonix con la famiglia, le speranze fossero pochissime. «Ferito e senza attrezzatura, non può resistere molto a quelle temperature», dice Carolina Codo, a capo della commissione soccorsi argentina. In serata ieri la conferma arrivata da una foto dei droni che hanno inquadrato il suo corpo inerme, scivolato oltre il riparo dove era stato lasciato. Per voce di sua sorella Lidia e via social, la famiglia ha espresso tutto il suo dolore: «Sei il nostro spiderman dei ghiacci, ora veglia su tutti noi». Il Cerro Torre è una delle montagne che ha attraversato il destino di tanti. Gli italiani furono i primi a salirlo nel 1974, con una spedizione dei Ragni di Lecco, firmata da Casimiro Ferrari. Bruno Detassis, Walter Bonatti e Carlo Mauri vi si cimentarono. Poi nel 1959 ci fu la tragedia di Cesare Maestri che tornò vivo dalla parete Nord, dopo aver vagato tre giorni, mentre il compagno Toni Egger morì, travolto da una valanga, in una dinamica simile a quella di queste ore. La tragedia perseguitò tutta la vita Maestri, morto proprio un anno fa. Lui sostenne di essere arrivato in cima e nel 1970, scalando di prepotenza e con un compressore per piantare chiodi moderni, lo spigolo Sud Est, volle riaffermare la sua verità a cui Werneg Herzog dedicò nel 1991, su scenografia di Reinhold Messner, anche il capolavoro «Grido di pietra».

Il Cerro è davvero una sirena che affolla i desideri di tanti. Simone Moro vi tentò un'invernale nel 2005; Hervé Barmasse scalò non senza incidenti il vicino Cerro Piergiorgio agli inizi della sua carriera. Le Ande, da sempre attraggono con la loro stagione al contrario, soprattutto gli italiani, come fece l'Huascaran, 6798 metri, tetto del Perù, con Renato Casarotto che lo domò nel 1977, per poi morire sul K2 e come accadde a Battistino Bonali.

Chi torna lo racconta: «In Patagonia una delle difficoltà più dure è il meteo». Capriccioso, mutevole, lo stesso che ha rallentato i soccorsi e che ora culla «Korra» lassù, «Dove voleva essere», dicono gli amici, nella sua ultima danza col destino.

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