Il futuro prossimo della coalizione che sostiene il governo Meloni è fortemente condizionato dal voto delle Europee oltre che dal varo delle riforme (prime fra tutte quella del premierato elettivo e quella dell'autonomia differenziata). La campagna elettorale per il nuovo parlamento di Strasburgo costringe, però, gli alleati a muoversi a ranghi sciolti dal momento che il voto è proporzionale e ognuno corre per sé. Quindi è importante in questa fase aumentare le differenze piuttosto che sottolineare le affinità. Tanto che lo stesso Salvini, vista la deriva degli ultimi giorni, ieri da Bari è tornato ad appellarsi agli alleati: «Spero che nessun alleato divida il centrodestra a Bruxelles, sarebbe un errore clamoroso. Nessuno dica dopo le elezioni non voglio la Le Pen, la Lega, gli austriaci o i portoghesi, e preferisco Macron e la sinistra». La scelta della cornice e della tribuna non è casuale. Anzi è lo stesso vicepremier a sottolinearla: «Il mio appello arriva da una terra dove le divisioni del centrodestra per 20 anni ci hanno fatto scontare la pena».
Inevitabile il nervosismo in casa Lega dal momento che qualsiasi risultato ottenga il Carroccio a Strasburgo difficilmente porterà numeri come quelli conquistati nella passata legislatura. Ecco perché Salvini tenta almeno di ritagliare per il gruppo di Identità e democrazia (quello dei sovranisti europei) un ruolo attivo nell'individuazione della prossima maggioranza dalla quale uscirà il nome del futuro presidente della Commissione europea.
Mentre Tajani rafforza il «polo moderato», che da qui a un paio di mesi dovrebbe garantire un sufficiente bacino di voti «italiani» al Partito popolare europeo (quello da cui presumibilmente uscirà il nome del futuro presidente della Commissione), la Meloni è pronta a giocare un ruolo attivo nella scelta del successore della von der Leyen. Tanto che da più parti si avanza l'ipotesi che sia disposta a lasciare la presidenza del gruppo Ecr per avere le «mani libere» per garantire proprio alla von der Leyen un secondo mandato. E non è un caso che un osservatorio internazionale ben informato come Politico Eu abbia inserito il numero due del gruppo Conservatori e riformisti, Nicola Procaccini, tra i più influenti europarlamentari. Si tratta del numero due del gruppo e di uno dei più stretti collaboratori della Meloni. Questa potenziale libertà di movimento di Fratelli d'Italia a Strasburgo preoccupa molto la Lega se i suoi vertici (a cominciare dallo stesso Salvini) si appellano all'unità del centrodestra. Lo stesso capogruppo al Senato del Carroccio, Massimiliano Romeo, lo ribadisce: «il centrodestra non si spacchi e mostri unità anche nelle scelte europee». Mentre il leader del Carroccio porta avanti esempi concreti di cosa paventa. «Se qualcuno dice preferisco la sinistra e Macron alla Le Pen fa il male del centrodestra e dell'Italia. Preferisco tutta la vita Marine Le Pen a un tizio, attualmente rispettosamente e democraticamente presidente della Repubblica francese, che però qualche giorno fa ha detto sciaguratamente non escludo che dovremo mandare i nostri militari a combattere e a morire fuori dai confini dell'Europa».
Sul lato «moderato» dell'alleanza, crescono le ambizioni di Forza Italia. Soprattutto ora che l'accordo con Noi moderati è in dirittura d'arrivo.
Deborah Bergamini (FI) ieri sosteneva ai microfoni di Skytg24 che «l'obiettivo 10% è alla portata di Forza Italia», mentre Maurizio Lupi avverte: «Noi moderati non si scioglie in FI ma martedì dovremmo chiudere l'accordo per rafforzare la famiglia dei Popolari europei».
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