"L'esame non fa danni, i giudici non sono unti dal Signore"

Il giurista: "Con la gestione delle prove affidata al Csm vedo il rischio opposto, cioè che il tutto venga annacquato"

"L'esame non fa danni, i giudici non sono unti dal Signore"
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Il punto di partenza è la Costituzione. «E se la si legge con attenzione - spiega il professor Ludovico Mazzarolli, ordinario di diritto costituzionale all'università di Udine - il politically correct evapora. Prendiamo l'articolo 101, primo comma. La giustizia è amministrata in nome del popolo. La parola amministrare rimanda alla funzione che i magistrati esercitano e fa capire che essi appartengono allo Stato. Sono funzionari dello Stato».

Funzionari?

«Sì. Funzionari. Anch'io che insegno in ateneo sono un funzionario dello Stato. E anch'io, come loro, non ho superiori gerarchici. Ma questo non cambia di una virgola il problema: il funzionario dello Stato può essere sottoposto al test attitudinale. Dove è lo scandalo?».

Scusi, non è un'umiliazione come dicono le toghe dell'Associazione nazionale magistrati?

«E perché? Ai test si sottopongono già le forze dell'ordine, potrebbero essere estesi anche ai docenti e più in generale agli insegnanti di ogni ordine e grado».

Per ora però si punta sulle toghe. Vogliono punirle?

«No, vogliono prevenire. I soggetti con fragilità vanno fermati all'ingresso della professione, e preferibilmente prima della conclusione del concorso».

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri spariglia: Facciamo i test anche ai politici. È d'accordo?

«Per niente».

E perché?

«Perché i politici sono eletti, hanno una legittimazione dal basso. I giudici hanno passato un concorso e entrano nell'amministrazione dello Stato».

I magistrati esercitano il potere giudiziario.

«Sì certo, ma non sono unti dal Signore».

Scusi, non c'è il rischio che con i test si leda l'autonomia e l'indipendenza della magistratura?

«Un attimo: il ministro Nordio ha demandato la gestione dei test al Csm, d'intesa naturalmente con il ministro stesso. Dove sarebbe questa lesione? Semmai vedo un rischio opposto».

Quale?

«Il mio timore è che vengano annacquati, ridotti a una pratica burocratica senza sale e senza sostanza. Un passaggio burocratico in più e nient'altro. In ogni caso, trovo poco corretto che la magistratura associata critichi la legge, anzi una proposta di legge, oltretutto ventilando uno sciopero e alzando i toni».

Perché, non è lecito avanzare dubbi sulla norma in arrivo?

«Tutto si può fare, ma ancora una volta la Costituzione indica una strada precisa. L'articolo 101, al secondo comma, dice che il giudice è soggetto soltanto alla legge. Deve applicarla, naturalmente dopo averla interpretata. Ma applicare non può voler dire contestare o rifiutare la norma. Insomma, se i test arrivano per legge, allora quella legge va rispettata. Aggiungo: questo concetto viene rafforzato se si mette in connessione il secondo comma dell'articolo 101 con l'ultimo del 102».

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. Che c'entrano i test?

«Direttamente nulla, ma ancora una volta torna la legge. È la legge ordinaria che regola ad esempio la composizione della corte d'assise. È la stessa Costituzione a rimandare alla legge ordinaria. Insomma, i magistrati sono inquadrati nello Stato e come tali devono applicare le leggi, anche quelle che li riguardano e pure se non piacciono loro».

E se la norma dovesse essere incompatibile con i principi della Costituzione?

«Se nel corso di un giudizio dovessero emergere profili di incostituzionalità, allora possono sempre

rivolgersi alla Corte costituzionale. Ma se un magistrato critica su un giornale o in tv una legge in via di approvazione, il parere della toga vale come il mio o il suo. Che si parli di migranti, delle tasse o dei test».

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