Roma Letta chi? Tre anni e mezzo in freezer, dopo è difficile scongelarsi. Finora il Grande Esule aveva dato solo qualche timido segno di vita: interventini, intervistine sui destini della Ue, dibattitucci. Poi in primavera un libro, dal titolo vagamente evocativo Contro venti e maree. Ma adesso che si è stufato di «stare sereno» come gli consigliava Matteo Renzi prima di soffiargli Palazzo Chigi, ecco che parla al Meeting e, senza troppi giri di parole, si candida: «Si al dialogo, no ai professionisti del conflitto», quello che serve al Belpaese è «un governo di larghe intese». Peccato che per il Pd non sarà certo lui a guidarlo. Si metta in fila, prima c'è ne sono almeno altri tre.
Enrico però sgomita per ritornare in gioco. Fare l'offeso, il professore che si dedica all'Europa, il Cincinnato che nessuno richiama in patria, non paga, così da un po' di tempo appare ovunque in cerca di visibilità. La partecipazione al Meeting di Cl, qualche dichiarazione alla stampa, un convegno in Trentino su De Gasperi, giusto per dirsi «preoccupato per il futuro del Pd e del centrosinistra». E, davanti alla platea ciellina, il tentativo di rientro. «L'identità non ha paura del confronto. Si è convincenti se si ha una proposta, non se si usa in consenso per evitare che arrivi il nemico». Il risultato di tanto attivismo però è sconfortante: l'ex presidente del Consiglio oggi è soltanto la quarta scelta del Nazareno. Forse la quinta, visto che pure il Guardasigilli Andrea Orlando ha più seguito e più chance di guidare il prossimo governo.
«Enrico sta sereno». Chissà per quanto tempo la ex giovane promessa democratica resterà inchiodato a quel tweet velenoso di Matteo. Dopo l'estromissione, lui ha pensato di ricostruirsi piano piano la carriera interrotta tenendo raffinate lezioni alla Sorbonne, intervenendo su grandi temi, disegnandosi un profilo internazionale. Poi ha capito di dover cambiare strategia perché la lontananza non aiuta il ricordo e dunque adesso si fa vedere in giro. Troppo poco e troppo tardi, sostengono al Nazareno. La prima scelta del Pd infatti, in caso di vittoria netta alle prossime elezioni con un sistema maggioritario, resta Matteo Renzi. La seconda, con il proporzionale e un successivo governo larghe intese, è Paolo Gentiloni. Al terzo posto c'è law and order Marco Minniti, dato in grande ascesa. E la minoranza del partito guarda semmai più a Orlando che a Letta.
Lui comunque insiste. L'altro giorno a Pieve Tesino, paese natale di De Gasperi, ha contraddetto la linea ufficiale del Pd sostenendo che l'Italia ha bisogno di coalizioni. Ignorato Renzi, in compenso ha elogiato Gentiloni per come sta gestendo l'immigrazione. Poi ha criticato lo spirito anti-tedesco «che vede protagonisti tutti i leader delle forze politiche italiane: non sarà che all'origine degli attuali squilibri europei c'è la fine del rapporto privilegiato tra i due Paesi?».
Ora a Rimini il rilancio. Letta ha difeso la sua breve esperienza di larghe intese indicandola come un modello buono per la primavera. Servono, sostiene, una nuova legge elettorale che favorisca il rinascere delle coalizioni, l'abolizione del finanziamento pubblico di partiti e la stabilità.
«Nessuno interrompa il percorso di speranza che abbiamo intrapreso per uscire dalla crisi. L'interesse generale deve prevalere sugli interessi di parte». Solidarietà nazionale, come ai suoi tempi. Ma è ancora tempo di Enrico?
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