Forse, ma solo forse, la missione di Angela Merkel e di Francois Hollande a Mosca per cercare di fermare la sempre più sanguinosa guerra in Ucraina non è stata del tutto inutile. I leader hanno parlato per cinque ore e alla fine un portavoce ha detto che i colloqui sono stati «costruttivi», che oggi si sarebbe lavorato a un possibile documento congiunto e che ulteriori colloqui telefonici erano in programma per domenica. Tradotto dal linguaggio diplomatico, vuol dire che un accordo non c'è ancora, ma che c'è la possibilità che venga raggiunto tra 48 ore.
L'interminabile vertice, in cui la Merkel ha sostenuto di «trattare nell'interesse dell'Europa» (in questo caso, come mai non c'era la Mogherini, Alto rappresentante della UE per la politica estera?) può essere considerato, se non l'ultima, certamente la penultima spiaggia prima che la guerra in Ucraina degeneri davvero in un conflitto più ampio. L'iniziativa è partita a inizio settimana da Putin, il quale ha proposto una revisione degli accordi di Minsk dello scorso settembre - peraltro mai veramente entrati in vigore - nel senso di estendere la cosiddetta repubblica del Donbass dei circa 500 kmq. che i secessionisti hanno conquistato nel frattempo e di concederle nello stesso tempo un grado di autonomia che l'avrebbe trasformata, di fatto, in un'appendice della Russia. Per quanto il piano sia stato considerato fin dall'inizio inaccettabile, la Merkel e Hollande hanno deciso di non lasciarlo cadere: entrambi fermamente contrari alla fornitura di armi all'Ucraina in questo momento all'esame di Obama e caldeggiata da una parte dei membri della NATO, essi volevano dimostrare che c'è ancora spazio per una soluzione diplomatica. Perciò, giovedì si sono recati a Kiev, per discuterne con il presidente ucraino Poroshenko, ma, nonostante la spaventosa crisi economica che ha fatto perdere alla grivna il 25% del suo valore in un solo giorno, questi non ha mollato. Perciò, il «contropiano» che M&H hanno finito con il portare a Mosca non poteva certo incontrare il favore dello zar: prevedeva, oltre a un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe russe che appoggiano i ribelli (la cui esistenza continua a essere negata, contro ogni evidenza, dal Cremlino), il ritiro delle armi pesanti e la liberazione degli ostaggi in mano ai contendenti. La «ciliegina» per Putin è l'impegno di Kiev a non chiedere l'ingresso nella NATO, comunque osteggiato da numerosi membri. A scanso di equivoci, prima di partire la Merkel si è affrettata a ribadire che il negoziato non avrebbe contemplato alcuna modifica dei confini dell'Ucraina.
Indipendentemente dal suo esito, la spedizione moscovita della coppia franco-tedesca ha messo ulteriormente in rilievo la divisione dell'Occidente sul comportamento da tenere con il Cremlino. Da una parte abbiamo gli Stati Uniti, sempre più inclini a fornire all'Ucraina armi che le permettano di contenere gli attacchi dei separatisti e la NATO, che giovedì ha «blindato» Estonia, Lettonia e Lituania con un forte rafforzamento della sua capacità militare sul fronte orientale. Per bocca del suo segretario generale, ha fatto anche sapere di ritenere «probabile» un attacco russo nei Paesi baltici, per mettere alla prova la volontà dell'Alleanza a intervenire in loro difesa. Dall'altra, abbiamo non solo Francia e Germania, ma anche Italia e Spagna (oltre alla Grecia che flirta addirittura con Putin in funzione anti-Bruxelles) che escludono una soluzione militare e prendono sul serio Mosca quando dice che una fornitura di armi all'Ucraina infliggerebbe «un danno colossale» ai rapporti Est-Ovest.
Comunque vadano le cose
nelle prossime ore, la partita rimane estremamente complicata e tiro alla fune tra Mosca e l'Occidente rimane durissimo; e se a questo punto qualcuno dei contendenti sbagliasse una mossa, la fune potrebbe anche strapparsi.
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