«Ci vuole un cambiamento di prospettiva. L'Europa vuole essere padrona del suo destino? Il rischio è la servitù rispetto ad altre economie. Serve un debito comune europeo, altrimenti quello dei singoli Paesi diventa troppo alto per fare gli investimenti che servono per portare le energie rinnovabili in tutta Europa, un disastro che ferma tutto». Mario Draghi al suo primo appuntamento pubblico a Milano ribadisce i contenuti della sua «Agenda» che presenterà a Strasburgo durante la sessione plenaria dell'Europarlamento, un piano Marshall da 800 miliardi l'anno di investimenti (secondo i calcoli di Ue e Bce) e progetti per salvare il Vecchio continente dalla deriva che si annuncia da qui al 2040 «quando perderemo 2 milioni di posti di lavoro all'anno perché la demografia, la denatalità e tre mesi di vacanza non aiutano le donne».
Il suo è un piano che ogni giorno trova più sponsor. «Il rischio che il rapporto Draghi resti lettera morta c'è. Mi auguro che il rapporto sia la bussola della prossima Commissione», auspica il commissario Ue uscente all'Economia Paolo Gentiloni, mentre il Financial Times ipotizza che il rimborso del debito sul Recovery fund (30 miliardi all'anno per 12 anni) possa allungarsi dal 2028.
Intervistato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana all'edizione 2024 del Tempo delle Donne in una Triennale affollatissima e blindatissima, per cinquanta minuti, l'ex governatore Bce parla dell'universo femminile con toni molto severi: «I Paesi nordeuropei hanno un sistema di welfare forte e anche una natalità maggiore. Giusto incentivare sia i bonus fiscali per le famiglie con figli sia le aziende. Siamo gli ultimi per occupazione femminile, chi paga le donne meno, chi si lamenta perché l'impiegata mi va in maternità va contro la Costituzione». Prima però non si sottrae alle domande sul report sulla competitività della Ue che all'ex premier ha commissionato Ursula von der Leyen, anzi si schernisce («dovrò aprire una breve parentesi, ma breve», dice), analizzando la situazione. «L'Europa prima era difesa dagli americani, aveva l'energia a basso costo dalla Russia ed esportava in Cina - sottolinea Draghi - Oggi l'Europa cresce meno degli Usa, la produttività è calata, il reddito pro capite di una famiglia americana è cresciuto del doppio rispetto a noi, tutte le materie prime più importanti nel settore hi-tech sono controllate dalla Cina».
Eccolo, il rischio della servitù. Come se ne esce? Intanto con tre direttive: «La prima è l'innovazione, abbiamo università straordinarie che producono ricerca di prim'ordine» ma perché da noi non ci sono «le grandi aggregazioni di atenei della silicon Valley, dell'area di Boston, ma anche dell'Inghilterra? Come mai?».
La seconda direttiva è quella dell'energia. «Non possiamo pagare per l'elettricità tre quattro volte, quello che la paga gli Stati Uniti e sperare di essere competitivi. Rispetto alla decarbonizzazione non si torna indietro, ma le politiche devono essere allineate con quelle climatiche e oggi non lo sono». La terza direttiva riguarda «la vulnerabilità nelle materie prime e nel campo della Difesa» di fronte all'espansionismo cinese, all'aggressione russa e a quello che succederà negli Stati Uniti.
Serve un Piano Draghi, ma chi lo finanzia? «I risparmi privati, in gran parte - assicura l'ex premier - risparmiamo molto di più degli Stati Uniti ma se vai a vedere la ricchezza delle famiglie americane è tre volte la nostra». Il Vecchio Continente arriva a questa sfida stanco e litigioso. «Per essere indipendenti bisogna avere una comunità di vedute e molto tempo, la situazione dei vari governi attuali in Europa è scoraggiante perché sono molto deboli e prendere grandi decisioni è difficile». Se riesce «una visione comune a 27 bene», altrimenti meglio «trattati intergovernativi o la cooperazione rafforzata», è l'invito dell'ex governatore Bce.
L'ex primo ministro ricorda anche le sue esperienze a Palazzo Chigi, Palazzo Koch e a Francoforte («tutte bellissime, da premier quella più ricca, complessa e varia»). Ma alla domanda «che farò in futuro?» risponde sibillino: «Forse farò qualcosa o forse no». Applausi.
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