Abita a Roma in via Germanico, in un bel palazzo nel cuore del quartiere Prati, l'omone di 59 anni intorno al quale si sta consumando il nuovo braccio di ferro tra Italia e Venezuela, dopo quello che ruota intorno ai finanziamenti sottobanco del governo di Caracas al Movimento 5 stelle. Anche qui si parla di soldi: una montagna di dollari che l'uomo rifugiato a Roma è accusato di avere rastrellato nel lungo periodo in cui era uno degli uomini più potenti del Venezuela, ministro del petrolio dal 2004 al 2017, nonché presidente della Pvsa, la azienda petrolifera di Stato. Ed è in quella veste che avrebbe accumulato una fortuna, dando appalti a una società formata insieme ai suoi parenti più stretti. Una «associazione a delinquere», secondo la Procura di Montevideo, che avrebbe gestito anche il colossale affare della perforazione sulla costa Afuera Songa: un affare da 1,3 miliardi di dollari.
Il ricercato si chiama Rafael Ramirez, ed è stato uno degli uomini di fiducia del presidente Hugo Chavez. Morto Chavez, il successore Maduro si trova a fare i conti con la crisi devastante seguita al crollo dei pezzi petroliferi, e la stella di Ramirez comincia a offuscarsi: quando poi gli uomini di Maduro mettono il naso nei conti di Pvsa la situazione si fa critica. Ramirez cerca di cambiare casacca, di ritagliarsi un posto nelle proteste e nelle congiure contro Maduro, compresa quella guidata nel 2017 da Luisa Ortega. Ma ormai la situazione è disperata. Nell'autunno 2017 taglia la corda, inseguito dai mandati di cattura. Arriva a Roma, e qui la storia inizia a farsi interessante.
Nell'ottobre 2020 da Caracas parte una richiesta di estradizione per Ramirez per una sfilza di reati. La domanda perviene il 27 ottobre al nostro ministero degli Esteri, retto - allora come oggi - dal grillino Luigi Di Maio. Qui la pratica, che dal Venezuela avevano chiesto di gestire con «notifica rossa», ovvero massima urgenza, si inabissa. Devono passare otto mesi perché la richiesta arrivi all'esame della Corte d'appello di Roma. Qui l'8 luglio scorso il procuratore generale chiede che la domanda sia accolta, Ramirez sia catturato e venga consegnato al suo Paese. Ma la Corte d'appello quel giorno non decide. Per il fuggiasco è una botta di fortuna. Perché appena una settimana dopo, a tempo di record, la Commissione territoriale di Roma del ministero dell'Interno gli riconosce lo status di rifugiato politico con un provvedimento di una paginetta, senza motivazioni.
Il 14 settembre la Corte d'appello non può fare altro che respingere l'estradizione ma di fronte alla gravità degli elementi trasmette gli atti alla Procura di Roma perché indaghi su Ramirez. Poi non accade più nulla. Ma in Venezuela non mollano. E cominciano a chiedersi come abbia fatto l'ex ministro di Chavez a farsi accogliere in una settimana una domanda che molti dissidenti si vedono respingere.
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