Parole secche, scritte in risposta ad un precedente commento dell'ex direttore del Giornale, Augusto Minzolini. Parole sorprendenti, e per certi aspetti clamorose, quelle della professoressa Lucia Serena Rossi (nella foto), fino a pochissimi giorni fa membro della Corte di Lussemburgo, presente all'udienza in cui è stata letta la sentenza della Corte sulle coordinate dei paesi sicuri che ha innescato poi i provvedimenti dei giudici di Roma, da giorni al centro di furibonde polemiche per aver annullato il trattenimento di un pugno di migranti in Albania.
«La sentenza - scrive ora Rossi in una lettera pubblicata ieri dal Giornale - in realtà si limita a ribadire che è competenza degli Stati fissare la lista dei Paesi sicuri, aggiungendo che occorre prendere in considerazione tutto il territorio di tali Paesi senza poter escludere zone specifiche e che la lista deve essere riesaminata periodicamente per accertarsi che quei paesi continuino ad essere sicuri».
Per Rossi, se queste frasi hanno un senso, la portata del verdetto è stata esagerata o meglio la si è tirata fin dove non arrivava. E anche i giudici della capitale, quelli che hanno smontato l'operazione Albania, ne hanno dilatato il senso, trasformando Bangladesh e Egitto in paesi insicuri.
«Mi sembra - aggiunge Rossi replicando a Minzolini con un pizzico di amarezza - che in Italia questa sentenza non l'abbia capita nessuno». Forse nemmeno i magistrati di Roma, entrati in un labirinto di rimandi, allegati, punti argomentativi. Ma il passaggio vincolante, quello che lega le mani a tutti i giudici della Ue, è uno solo, enunciato come di consueto proprio alla fine: un Paese non è sicuro «qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione». Ecco dunque lo stupore della giurista, ordinario di diritto della Ue a Bologna dove è appena tornata perchè il governo Meloni non l'ha riconfermata per il secondo mandato. Il verdetto sarebbe stato in qualche modo frainteso, perchè al criterio geografico si è sovrapposto quello delle categorie di persone perseguitate, come i dissidenti o i sindacalisti, richiamato in allegato e commentato al punto 68. E proprio il punto 68, che riguarda il rispetto dei diritti umani, sarebbe la chiave dell'equivoco cui si riferisce Rossi che, interpellata dal Giornale, ritiene di non dover aggiungere altro.
«Il punto 68 del testo della Corte di Lussemburgo, un semplice passaggio motivazionale - spiega al Giornale il professor Pier Luigi Portaluri, ordinario di diritto amministrativo all'Università del Salento che già aveva avanzato critiche sul Foglio - ha ingenerato una sorta di abbaglio in Italia, cominciando dalla magistratura. Ma è evidente che il principio chiave, quello che deve essere seguito da giudici dei 27 paesi, è solo quello che riguarda la geografia. Un paese sicuro diventa insicuro se tale è una sua zona».
Come la Moldavia, oggetto dei quesiti posti da un giudice ceco, per via della Transinistria.
Sulla base di questo principio ciascuno dei ventisette aggiornerà la lista dei paesi sicuri. Come sottolinea Rossi nella sua missiva e come ha fatto l'Italia che ha mantenuto Egitto e Bangladesh nel decreto legge appena varato, ma ha tolto Camerun, Colombia e Nigeria.
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