L'ex ministro Damiano: "Renzi? È solo un opportunista. Da Salvini scelta di realismo"

L'avvio del governo Draghi, il futuro del centrosinistra, l'emergenza sanitaria ed economica. Di tutto questo abbiamo parlato con l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano

L'ex ministro Damiano: "Renzi? È solo un opportunista. Da Salvini scelta di realismo"

L'avvio del governo Draghi, il futuro del centrosinistra, l'emergenza sanitaria ed economica. Di tutto questo abbiamo parlato con l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, oggi membro del cda di Inail e presidente dell'associazione Lavoro&Welfare.

Onorevole Damiano, che ne pensa dell'avvio del governo Draghi?

“Ho sempre avuto molto rispetto e considerazione per Mario Draghi che ho avuto il piacere di conoscere nel 2007 quando ero ministro del Lavoro. Conosco la sua statura politica e tecnica di livello internazionale, quindi, come la maggior parte degli italiani, ripongo molta fiducia nell'azione del presidente del consiglio e del suo governo. Vedo che le difficoltà non mancano anche per Draghi che, nel suo discorso di insediamento di cui ho condiviso lo spirito repubblicano, ha messo in luce due punti essenziali: quello del vaccino da utilizzare velocemente e quello dell'impiego oculato delle risorse. La strada è quella, percorrerla non sarà facile”.

La caduta del governo Conte-bis era opportuna o l'ha lasciata sconcertato?

“Sono rimasto un po' basito non tanto perché non conosca Renzi e le sue mosse opportunistiche però sicuramente c'è stato un elemento di spregiudicatezza che francamente avrei risparmiato all'Italia. Ma tant'è qui siamo e qui navighiamo”.

Una buona parte della sinistra considera Renzi un politico di destra. Lei condivide questa visione?

“Sostanzialmente la condivido. Io non penso che Renzi abbia a che fare con la sinistra, fatico a pensare che abbia a che fare col centrosinistra. Renzi, da presidente del Consiglio, ha fatto cose di destra e di sinistra. Penso agli 80 euro distribuiti al ceto medio come elemento di potenziamento del potere d'acquisto. Qui vedo un'impronta maggiormente orientata a sinistra. Penso al Renzi del Jobs Act, una misura che non ho condiviso, che mi è sembrato maggiormente orientato a destra e i fatti lo confermano. Il tratto prevalente sicuramente, sommando tutti gli interventi effettuati da quel governo, non è andato nella direzione della tradizionale identità del Partito Democratico. A mio avviso c'è stata una deviazione dal percorso iniziale per quanto riguarda l'identità di questo partito che è stato fondato da un'anima che si può ricondurre al cattolicesimo sociale e un'anima laburista e socialdemocratica”.

I renziani rimasti nel Pd sono degli infiltrati?

“Cancellerei la parola infiltrati. Io ho fiducia nelle persone e immagino che chi è rimasto non lo ha fatto per infiltrarsi, ma per sostenere una posizione avendo scelto di non seguire Renzi. Dopo di che il Pd è un partito composito con una maggioranza molto larga e una minoranza. Sicuramente nel Pd siamo distribuiti su vari lati. Io, come laburista, copro, insieme ad altri, l'ala sinistra e probabilmente Marcucci quella destra, ma dentro i confini del Pd”.

Quali sono stati gli eventuali errori di Zingaretti nel dire “O Conte o voto”?

“Sicuramente la tesi o 'Conte o voto' ha messo il Pd in una strettoia e questo si è rivelato un errore. In secondo luogo, poi, Zingaretti ha tollerato troppo una situazione che poi ha denunciato con veemenza. Avrei preferito meno tolleranza e meno veemenza. Sono rimasto un po' sconcertato per il fatto che il segretario si vergognasse del partito che guidava”.

L'Enrico Letta di oggi è molto diverso da quello che abbiamo conosciuto fino a sette anni fa?

“Ho lavorato con Letta nel secondo governo Prodi quando lui era sottosegretario alla presidenza del Consiglio e io ero ministro del Lavoro e della Previdenza sociale. Insieme abbiamo costruito il protocollo del 2007, firmato dalle parti sociali ed è stato l'ultimo protocollo di concertazione. Già all'epoca mi è sembrato orientato in senso progressista anche se arriviamo da due esperienze molto diverse. Siamo stati l'esempio di una fusione ideale che, in quegli anni, ha costruito la premessa per fondare il Pd. Il Letta di oggi è sicuramente diverso da allora, ha fatto un'esperienza fuori dall'Italia e ha mantenuto le sue relazioni internazionali. Direi che é una figura congeniale all'era Draghi. È cambiato, ma non in negativo. Come il vino, anche Letta è migliorato”.

Crede che attorno all'asse Pd-M5S si possa creare quel nuovo Ulivo in cui Conte potrebbe rappresentare il nuovo Prodi?

“Intanto mi pare un azzardo equiparare Conte a Prodi, due personalità molto diverse tra di loro e che peraltro hanno agito in un contesto politico profondamente diverso. Che si tratti di costruire un nuovo Ulivo o una nuova Unione, il punto è quello di ricostruire un'identità che il Pd ha perso. E questa identità, che deve valere per una compagine più larga di centrosinistra, deve essere sociale con un'attenzione agli ultimi, alle ragioni del lavoro e dell'impresa sana e trasparente. Partirei dai contenuti programmatici che possono unire forze diverse. Sicuramente i Cinquestelle, con Conte, stanno cercando di darsi un nuovo profilo politico. Sappiamo che nel M5S ci sono state molte scissioni, abbiamo visto posizioni più governiste e più movimentiste come succede a forze nuove che l'identità se la costruiscono strada facendo e che hanno scelto i propri rappresentanti attraverso il web con alcuni click. Quello che si sta definendo con Conte mi pare che sia una compagine politica che guarda non più con sospetto e timore all'alleanza col Pd. Su queste condizioni vale la pena come ha fatto Letta di andare a vedere, ma non ci si può alleare a prescindere dai contenuti”.

Ma il Pd, che è il partito più grande, non dovrebbe esprimere anche il leader della coalizione? Perché si sceglie sempre il papa straniero?

“Non credo che si sia scelto di avere il papa straniero e di non essere in grado, come Pd, di non esprimere una leadership di coalizione. Io suggerisco di andare a vedere le carte perché un'alleanza andrebbe costruita altrimenti non si va da nessuna parte e noi, come ha detto Letta, non dobbiamo dare per scontato che abbia già vinto il centrodestra. Dovremmo colmare le distanze e si può fare con un'alleanza molto larga. Mi pare che due persone come Letta e Conte possano dialogare anche perché mi sembra che sia passata parecchia acqua sotto i ponti".

Il reddito di cittadinanza va mantenuto, modificato o smantellato?

“Il reddito di cittadinanza non va ripudiato, rigettato o cancellato. Dobbiamo avere uno strumento che va nella direzione di chi è realmente povero. Sicuramente dobbiamo fare un tagliando a questa misura perché alcune storture esistono. Esiste il rischio di preferire l'assistenza passiva anziché ricercare attivamente un lavoro. C'è il rischio che chi prende questo sussidio, poi, scelga il lavoro nero, sottraendo legalità e togliendo lavoro a chi il lavoro non ce l'ha. Però io sono perché l'Italia mantenga una misura che intervenga chirurgicamente sulla povertà”.

Sul fronte delle politiche del lavoro quali sono gli interventi necessari?

“Per quanto riguarda il lavoro, penso che il blocco dei licenziamenti debba durare fino a luglio così da agganciarsi alle tradizionali ferie di agosto e possiamo affrontare l'autunno con maggiore tranquillità, così come chiedono i sindacati. Anche Confindustria ha detto che le imprese non hanno intenzione di licenziare. Dobbiamo avere delle protezioni finché dura la pandemia. Si devono riformare e semplificare gli ammortizzatori sociali, lasciando solo la cassa-integrazione ordinaria e straordinaria. Si deve avere una tutela universale e differenziata per lavoro dipendente e autonomo”.

E sul fronte delle pensioni?

“Credo, infine, che Quota 100 non possa essere rinnovata e che vada trovata una misura sostitutiva come l'Ape sociale non più congiunturale, ma strutturale che allarghi la platea delle persone coinvolte a chi rischia di essere licenziato e ai lavori gravosi, usuranti ed esposti, come i medici e gli infermieri che sono stati esposti alla pandemia. Per gli altri si può immaginare sempre un'uscita a 63 anni, ma avendo una penalizzazione del 3% sulla parte retributiva per ogni anno di anticipo. Sarebbe, infine, come dice il vicepresidente di Confindustria, importante irrobustire l'uso del contratto di espansione portandolo alla soglia dei 50 dipendenti”.

A proposito di Covid, il governo si divide tra rigoristi e aperturisti. Lei con chi si schiera?

“Sono un rigorista. Penso che non tutti abbiano capito che siamo in guerra e quando c'è la guerra si usano strumenti di guerra. La guerra al covid comporta dei sacrifici. I miei genitori hanno vissuto i bombardamenti e, quando, c'erano i bombardamenti non andavamo a prendere il gelato nel corso principale. Questa guerra si vince solo avendo e somministrando quanti più vaccini possibili e con i lockdown mirati e selettivi. Sono contro la fisarmonica di aperture e chiusure continue. Dopo il primo lockdown nazionale il numero dei morti si è ridotto drasticamente, poi c'è stato il liberi tutti dell'estate scorsa e a dicembre siamo arrivati a 600 morti al giorno. Ora siamo a 400 al giorno. Infine si devono attualizzare i protocolli per le attività nelle imprese e applicare i codici Inail anti-covid”.

Lo smartworking va riformato? Come si concilia il ritorno alla vita con questa modalità di lavoro, che sta piacendo agli italiani?

“Questo, soprattutto nella pubblica amministrazione, è un tele-lavoro, un lavoro a distanza fatto su coercizione. Il lavoro agile, invece, è contemporaneamente in presenza e a distanza ed è disciplinato ancora in modo debole da una legge che fissa il principio che siamo di fronte a un lavoro dipendente e viene remunerato come se il lavoratore fosse in presenza e, inoltre, fissa il diritto alla disconnessione. Credo che il lavoro agile sia una scelta irreversibile e implica una profonda riorganizzazione delle modalità di lavoro. Sarà necessario immaginare che si lavora in base ai risultati da raggiungere e non più in base alla prestazione al secondo come prevedeva il modello taylorista. Spero che il lavoro agile sia disciplinato da contratti nazionali e ce ne dovremmo occupare perché piace e conviene, ma evitiamo che diventi l'ennesima forma di lavoro flessibile e sottopagato e che sia il lavoro delle donne che si troverebbero a fare un doppio lavoro”.

A tal proposito, vuol commentare la vicenda che ha riguardato la Boldrini?

“Non ho nessun commento da fare in merito. Non ho seguito molto il tema e non so esattamente la situazione della Boldrini. Dico solo che chiunque deroga da leggi e contratti fa male”.

Un'ultima annotazione sugli alleati di governo. Crede nella svolta europeista di Salvini?

“Non credo alle svolte repentine. Diciamo che Salvini ha fatto una scelta molto di realismo e, a differenza della Meloni, ha deciso di essere dentro la stanza dei bottoni e giocare una partita di eccezionale rilevanza.

Aver accompagnato questa scelta con un'eccessiva enfasi nella conversione sulla via di Damasco mi lascia perplesso, ma Salvini probabilmente avverte nella Lega diverse posizioni come quella più moderata di Giorgetti e questo lo ha influenzato. Detto questo, io sono convintamente europeista e sono contento che siamo passata dal rigore con cui abbiamo combattuto la crisi del 2008 a un'impostazione neo-keynesiana che punta agli investimenti”.

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