La lezione di Goethe ci ricorda la potenza del giallo

Nelle ultime settimane hanno tenuto banco, sulle prime pagine dei giornali, le proteste dei francesi, gli ormai famosi «gilet gialli». Io li ho visti in azione, soltanto qualche giorno fa. Venendo dalla Liguria, dove vivo, e su su fino alla Francia, mi è successo di vedermene apparire una folta schiera, come una scoppiettante nuvola gialla, appena uscito dall'autostrada. Squillanti come i loro gilet, coloratissimi, apparentemente pacifici (ma altrove hanno invece dato fuoco a bidoni, recinzioni, monumenti). Non voglio entrare nel merito della protesta: le ragioni, le dinamiche, i problemi che implicano sono tanti, troppi. Mi interessa invece, in questo momento, concentrarmi sulla loro forza estetica. Già il nome e la caratteristica che sono dati, infatti (il gilet giallo), indica la loro propensione per la spettacolarità, per l'azione eclatante (il giallo è un colore acceso, squillante, particolarissimo) e il loro essere fondamentalmente post-ideologici. Un tempo, infatti, il colore delle rivoluzioni era il rosso. Rosso è simbolo di pericolo, di allarme: rosse sono le bandiere storiche dei rivoluzionari, ma anche quelle che, sulla battigia, si innalzano quando c'è mare mosso. Rosso è il drappo che si sventola davanti al toro per renderlo furioso (non a caso si dice «vedere rosso», quando si è arrabbiatissimi). Era il colore delle rivoluzioni tradizionali. Poi, cadute le ideologie tradizionali, c'è stato l'avvento delle rivoluzioni «arancioni» e ora è la volta dei gilet gialli. Differenti i colori utilizzati, differenti i contenuti che esprimono.

L'uso di un colore, infatti, ha sempre un significato simbolico, anche quando chi lo indossa non ne è del tutto consapevole. Perché il giallo, allora? Giallo è il colore dei gilet che indossano, certo: un modo per farsi vedere, per tornare visibili e tornare simbolicamente a contare, a essere qualcuno. Ma il giallo è anche il colore del sole, della potenza e della gioia del calore. È il colore dell'oro, dell'allegria, della fantasia e della felicità. Quali che siano le ragioni profonde della protesta, è certo che la loro scelta estetica va nella direzione di un desiderio di grande energia, di vitalità. Di ribellione alle convenzioni e agli stereotipi. Non a caso il gilet giallo (un gilet di ben diverso tipo, certo) era anche quello che indossava, assieme a un frac turchino, il simbolo di una ben diversa «rivoluzione», quella romantica: il giovane Werther, personaggio indimenticabile di uno dei massimi capolavori di Goethe, simbolo del desiderio di purezza, di amore e di idealità della giovinezza. Un simbolo che, nell'Ottocento, verrà indossato da un'intera generazione di ragazzi, che volevano ribellarsi al conformismo e alla ristrettezza di vedute dei propri genitori. Oggi, il gilet giallo, seppure sotto diverse spoglie, torna a far parlare di sé. Il suo colore acceso, la sua richiesta di attenzione, di energia non canalizzata e di intimo desiderio di cambiamento non va sottovalutato.

E ci manda anche un messaggio trasversale: quando indossiamo un colore, quando scegliamo dall'armadio un abito o una giacca o un pullover, mandiamo, che ne siamo o meno consapevoli, un messaggio agli altri. Impariamo allora a non sottovalutare mai i colori, e la straordinaria forza simbolica che sono in grado di trasmettere.

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