Beirut. Lokman Slim, 58 anni, giornalista, intellettuale ed editore, feroce oppositore di Hezbollah è stato trovato morto, sdraiato a faccia in giù in una pozza di sangue in un'auto a noleggio, una Toyota Corolla, vicino al villaggio di Addousiyeh, sud del Libano. Il medico legale ha riferito che è stato colpito con cinque proiettili, quattro alla testa e uno alla schiena. L'attivista era scomparso da mercoledì sera, quando era uscito dalla casa di un amico nel villaggio di Niha, da allora la sua famiglia aveva perso i contatti con lui. Sarebbe dovuto tornare a Beirut dove viveva. La magistratura libanese ha incaricato i servizi di intelligence di condurre un'indagine attraverso l'esame in particolare delle telecamere di sorveglianza nella regione e l'analisi di tutti i dati nel cellulare del giornalista.
Sua moglie, Monika Borgmann, ha precisato: «Ha lasciato la casa del suo amico alle 20 e 30 e non è più tornato. Ma non era la prima volta che visitava il Libano meridionale, nonostante le minacce che riceve regolarmente». Il Sud del Paese dei cedri è infatti la roccaforte di Hezbollah. E sono arrivate subito le accuse. Il primo ministro designato, Saad Hariri, lo ha definito «un nuovo martire sulla strada del Libano verso la libertà e la democrazia». Senza giri di parole l'ex parlamentare Fares Souaid: «È stato assassinato nell'area di influenza di Hezbollah, quindi la milizia è il principale sospettato», ha detto. «Dovrebbe o raccontare ai libanesi cosa è successo o assumersi la responsabilità diretta di quanto accaduto».
Slim aveva studiato filosofia a Parigi, lavorato a lungo sui temi della memoria e sulla questione degli scomparsi dopo la guerra civile libanese del 1975-1990, attraverso la sua organizzazione Umam-DR. Aveva co-fondato con sua sorella Rasha una casa editrice, Dar Al-Jadeed. Nella sede della Ong ad Haret Hreik, nella periferia sud di Beirut, territorio anch'esso controllato da Hezbollah, sono stati organizzati molti dibattiti, proiezioni di film e mostre.
Slim era nato in una numerosa famiglia sciita della periferia meridionale, ma era un laico e denunciava regolarmente lo strapotere di Hezbollah nei suoi scritti e attraverso i media. Era stato minacciato più volte, anche di morte. L'attivista a volte incontrava alti funzionari americani di passaggio a Beirut, ed è stato spesso attaccato dalla stampa pro-Hezbollah di avere posizioni favorevoli nei confronti degli Stati Uniti. Aveva anche denunciato il monopolio politico dei due più importanti partiti sciiti, Hezbollah e Amal, all'interno della comunità. La moglie Monika dopo la notizia dell'assassinio ha usato toni molto forti: «Non ci fidiamo della giustizia libanese, chiediamo una indagine internazionale. Vogliamo sapere chi lo ha ucciso a tutti i costi», ha denunciato. In un'intervista il mese scorso alla tivù saudita al-Hadath, Slim aveva affermato di credere che Damasco e il suo alleato Hezbollah avessero avuto un ruolo nell'esplosione del porto di Beirut del 4 agosto scorso, che ha ucciso 200 persone e feritone migliaia.
Nel frattempo anche Francia e Usa hanno invitato i politici libanesi a formare un nuovo governo e a fornire i risultati delle indagini sulla deflagrazione devastante di questa estate. L'indagine è ferma da settimane per le interferenze di diversi leader politici del Paese.
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