Imane Khelif e la libertà di non vestirsi da donna

Perché ridurla a questa caricatura di signora? Qualche genio del marketing non ha pensato che l'avrebbe rimessa nel mirino degli odiatori con una trovata tanto grottesca

Imane Khelif e la libertà di non vestirsi da donna
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Vederla in abito a fiori con la messa in piega fatta di fresco e il trucco che lavora su palpebre e labbra per ingentilirla, fa un po' lo stesso effetto di uno smoking su un aborigeno: e cioè il contrario di quello desiderato. Non è classismo e tantomeno pregiudizio è solo che ognuno è elegante nei propri panni, tutto il resto è travestimento più o meno involontario. E ciò che stride persino più degli orecchini rosa nel video di Imane Khelif è la sensazione che la venticinquenne algerina si sia messa a intraprendere la carriera di femmina. Come fosse stata costretta a cambiare mestiere: prima pugile, ora donna. Una missione forzosa e inutilmente crudele. A Parigi, subito dopo aver vinto la Medaglia d'Oro nella boxe e vista la miriade di contestazioni e insulti che l'hanno trafitta come un bersaglio luminoso («troppo testosterone, avrebbe dovuto gareggiare con gli uomini») Khelif aveva risposto con orgoglio: «Ho vinto da donna, la mia dignità sopra ogni cosa». Poi mercoledì è spuntato il video pubblicato dal salone di bellezza algerino Beauty Code con il nuovo look di Imane e un commento più idiota della trovata pubblicitaria stessa: «Per ottenere la sua medaglia, non ha avuto tempo da perdere in saloni di bellezza o shopping. Non ha mai sentito il bisogno di conformarsi a questi standard per dimostrare quanto vale». E allora perché costringerla oggi? Perché ridurla a questa caricatura di signora? Qualche genio del marketing non ha pensato che l'avrebbe rimessa nel mirino degli odiatori con una trovata tanto grottesca.

Quelli che hanno contestato la sua vittoria alle Olimpiadi e che hanno gettato discredito sul suo risultato sportivo, certo non miravano a farla travestire da donna. Evidentemente lo ha fatto il suo entourage che ha deciso di «esibirla» anziché stare dalla sua parte.

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