Un atto di riconciliazione con la nostra storia. A ottant'anni dalla vergogna delle leggi razziali, Liliana Segre, simbolo di una persecuzione feroce, diventa senatrice a vita. Cosi viene superata idealmente quella stagione di orrori indicibili: si partiva dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano, si finiva nei camini di Auschwitz e degli altri lager. Dei 776 bambini italiani deportati solo 25 sopravvissero: Liliana Segre, milanese di famiglia ebraica, classe 1930, è una di questi privilegiati. E su quel miracolo ha fatto germogliare una seconda vita: dal 1990 ha speso tutte le sue energie per raccontare lo sterminio del popolo ebraico alle nuove generazioni che sanno sempre meno e sempre più dimenticano.
La testimone della Shoah entra dunque a Palazzo Madama per aver illustrato, come si dice, la patria con altissimi meriti nel campo sociale. Sergio Mattarella le ha telefonato ieri mattina. Lei proprio non se l'aspettava: «È un fulmine a ciel sereno». Poi ha sintetizzato il senso del riconoscimento ricevuto: «La memoria è un vaccino contro l'indifferenza». Segre in decine di incontri e assemblee nelle scuole ha tenuto vivo quel capito inquietante della storia patria e internazionale.
Del resto la sua biografia attraversa prodigiosamente quell'interminabile serie di prove disumane. Nel '38 le leggi razziali travolgono gli equilibri della minuscola ma vivacissima comunità ebraica tricolore. Gli italiani, che si riscatteranno in seguito, le digeriscono con disarmante facilità. Per gli ebrei comincia la discesa verso il precipizio. La piccola Liliana deve lasciare la scuola elementare. È solo la prima umiliazione. Con l'avvento della Repubblica Sociale l'emarginazione lascia il posto ai rastrellamenti e ai trasferimenti forzati nei lager. La tela millenaria della civile convivenza viene strappata: il 7 dicembre 1943 Alberto Segre, vedovo, tenta la fuga con la figlioletta Liliana e due cugini. L'impresa, favorita dall'aiuto di esperti contrabbandieri, riesce ma i gendarmi svizzeri rimandano indietro il gruppetto. È l'inizio della fine. Il giorno dopo i Segre sono catturati a Servetta di Viggiù. La ragazzina tredicenne resta in cella a Varese per sei giorni, poi viene spostata a Como, quindi a Milano: rimane chiusa a San Vittore per altri 40 giorni. Ma anche questa è solo una tappa di una via crucis crudele. Il 30 gennaio 44 Liliana e il papà partono per Auschwitz dal famigerato binario 21. All'arrivo i due vengono separati e non si vedranno mai più: lui muore qualche mese dopo, come i nonni paterni, pure bottino di un olocausto dalle proporzioni colossali. Lei si ritrova a lavorare, come tanti dannati: è impiegata nella fabbrica di munizioni Union. Ma Liliana, numero di matricola 75190, è più forte delle sventure e delle avversità. Sopravvive a tutto e a tutti. Anche alle drammatiche marce di trasferimento, imposte dagli aguzzini a migliaia di prigionieri per sfuggire all'avanzata dell'Armata Rossa. La Segre fa tappa a Ravensbruck, Polonia, poi giunge nel campo di Malchow in Germania. Il 1 maggio 1945 è finalmente libera. Torna a Milano, si sposa, ha tre figli, sembra aver cancellato quel passato. Invece non è cosi: nel 1990 comincia ad arpionare quei ricordi lancinanti, trasformandoli in schegge di cronaca.
Una missione contro ogni forma di razzismo che ora diventa ufficialmente patrimonio di tutta l'Italia. «È una decisione preziosa a 80 anni dalle leggi razziali», commenta il premier Gentiloni. Lei assicura: «Porterò in Senato le voci di quelli che non hanno nemmeno una tomba».
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