L'importante è vincere

Spesa a New York la cifra record di 9 milioni per strappare all'asta il manoscritto con cui De Coubertin ideò le Olimpiadi moderne. E dove non è scritto che «basta partecipare»

L'importante è vincere

I n quel documento c'è lo spirito olimpico un po' grezzo dell'epoca, non quello apparentemente aulico che conosciamo. Il manoscritto battuto da Sotheby's l'altra sera a New York per nove milioni di dollari, base di partenza 980mila, contiene l'essenza primitiva di quelli che saranno i Giochi a cinque cerchi. Non lo spirito vero. Quello non ha prezzo e si formerà poi, nei decenni, andando forse oltre, amplificandole, le volontà dell'autore dello scritto: Pierre de Frédy, barone di Coubertin, l'inventore non inventore delle Olimpiadi moderne. Lo spirito originario delle Olimpiadi aveva obiettivi meno etici e più pratici: dimostrare che l'attività fisica, fin lì confinata nelle accademie e caserme militari, portava con sé scopi e valori altamente educativi e sociali utili a formare le nuove generazioni. A sostegno delle proprie tesi, de Coubertin, quel giorno del 1892 alla Sorbona, in occasione del quinto anniversario della Federazione atletica francese, con quei fogli scritti di proprio pugno aveva illustrato i risultati di uno studio sugli atleti di diversi Paesi europei e l'importanza dello sport. Dalla Germania alla Svezia, dal Regno Unito alla stessa Francia, era emerso che le finalità della pratica sportiva, fin lì orientate prevalentemente a formare buoni soldati e ufficiali, stavano ora animando il desidero dei giovani all'eccellenza individuale, allo star bene. Da pedagogo illuminato qual era, de Coubertin aveva compreso che un Paese fatto di gente che sta meglio con se stessa, che mira all'eccellenza personale, è un Paese più sano ma anche più forte. E questo è di fondamentale importanza. Oggi per i bilanci dello Stato. Ieri in caso di guerra.

De Coubertin inventore non inventore delle Olimpiadi moderne perché ha dell'incredibile come la retorica costruita nei decenni sul nome di questo uomo appassionato e visionario gli abbia attribuito intuizioni che altri avevano già avuto e parole che non aveva mai pronunciato. C'erano infatti stati diversi tentativi di restaurare i Giochi dell'antichità. Un centinaio di anni prima proprio a Parigi e le avevano chiamate Olimpiadi della Repubblica; tra il 1856 e il 1888 si erano tenute le Olimpiadi di Zappas, ad Atene, finanziate da un filantropo greco, Evangelis Zappas. Lo stesso de Coubertin si era poi ispirato a un medico e botanico inglese, William Penny Brookes che, oltre ad aver offerto premi in denaro agli atleti vincitori nelle Olimpiadi di Zappas, era tra i più convinti sostenitori dell'obbligatorietà dell'educazione fisica nelle scuole inglesi e aveva istituito i Giochi olimpici di Wenlock, dal nome della sua cittadina natale. Esistono ancora. E sono riconosciuti. Nel 1890 de Coubertin era stato suo ospite durante la manifestazione. E lì aveva capito tutto.

Quanto alle parole celebri non sue ma per sempre a lui attribuite, queste non sono contenute nel manoscritto battuto da Sotheby's. C'è solo da augurarsi che il compratore ne fosse informato. «L'importante non è vincere ma partecipare» è infatti la frase, simbolo dello spirito olimpico, che il barone ripropose citando a memoria, e storpiando, un passaggio del sermone pronunciato alla vigilia di Londra 1908 da un vescovo anglicano, Ethelbert Talbot, durante la funzione tenuta nella cattedrale di St. Paul in onore dei partecipanti ai Giochi.

Olimpiade, questa, fortemente attesa dal barone dopo i disastri poco olimpici di St Louis 1904 quando, per via della concomitante Esposizione Universale, venne allestito uno zoo umano dove osservare Ota Benga, il pigmeo del Congo, o dove gli spettatori potevano assistere alle giornate antropologiche in cui ammirare gare di lancio della palla contro il palo del telegrafo o di lotta nel fango tra pigmei, pellerossa, mongoli, eschimesi, filippini. Nulla a che fare con lo spirito olimpico.

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