L'incubo dell'untore. Così le epidemie ci hanno cambiato

La nostra storia si accompagna alla paura dei contagi. L'ultimo allarme fu dopo la Grande Guerra con la spagnola

Chi non è più un ragazzo ricorda bene quella terribile estate del 1973, quando in Italia si diffuse una parola terrificante - colera - che evocava spettri di epidemie ormai dimenticate in occidente. Il colera, a Napoli, provocò la morte di 12-20 persone (una cifra esatta non è mai stata stabilita) e portò con sé paure da medioevo, ma anche un approccio allora poco praticato alla prevenzione, all'igiene, al controllo dei cibi.

Fra le molte pandemie possibili, è la peste che percorre tutta la storia italiana, e europea, tanto da farne una paura ancestrale. La prima epidemia dopo la caduta dell'impero romano avvenne nel 541-544 durante la - tremenda - Guerra gotica. Molte città, come Milano, vennero distrutte dalle armi, mentre altre, come Napoli, furono svuotate dalla peste. Nel 556 la popolazione italiana era scesa a quattro milioni di individui, e Roma non aveva più di quarantamila abitanti. Scrive Procopio da Cesarea: "Gran parte della popolazione era stata costretta ad abbandonare le proprie case e a migrare sulle coste del mare, sperando di trovarvi di che sfamarsi. In Toscana gli abitanti andavano sui monti a raccogliere ghiande per macinarle e farne un surrogato del pane. Quelli che si ammalavano diventavano pallidi e smunti, la pelle si inaridiva e si contraeva sulle ossa. Le loro facce assumevano un'espressione stupefatta, gli occhi si dilatavano in una specie di spaventosa follia. Alcuni morivano per avere mangiato troppo quando trovavano cibo. I più erano talmente dilaniati dalla fame che, se vedevano un ciuffo d'erba, si precipitavano a sradicarlo."

Un'altra peste colpì l'Italia nel 590, proprio quando venne eletto papa quel Gregorio che poi sarebbe stato detto Magno. Gregorio organizzò una processione, durata tre giorni, per calmare l'ira divina. Non era il modo migliore per combattere il male, perché la vicinanza di tante persone favoriva il contagio, ma allora non si sapeva. Gregorio di Tours scrive che la peste "accompagnava il corteo e falciava gli uomini facendoli stramazzare al suolo senza vita".

All'epidemia si accompagnava spesso la carestia. La presenza delle due piaghe si intensificò nel 1315-1317, e raggiunse un livello ineguagliato nel 1348, quando l'intera Europa venne aggredita dalla "morte nera": si calcola che la peste del 1348 abbia ucciso un terzo delle popolazioni dell'Italia, della Francia e dell'Inghilterra. La conseguente diminuzione della richiesta di generi alimentari andò di pari passo con l'abbandono delle campagne, e l'economia di vaste zone coltivate tornò indietro di secoli. Campagne e città furono sconvolte da ribellioni, banditismo, saccheggi di eserciti. Mai come nel momento in cui si affermavano gli ideali e le altissime opere rinascimentali, la penisola sembrò precipitare indietro. La peste nera, oltre a decimare la popolazione italiana, ne spezzò la debole consistenza psicologica, sociale e politica. Dopo il passaggio della piaga, le città e le campagne della penisola, al pari di quelle europee, furono teatro di scontri popolari senza precedenti: basta ricordare quelli terribili di Perugia (1371), di Firenze (tumulto dei Ciompi, 1378), di Parma (1385).

Il ricordo storico più impressionante della peste, però, è quello che si accompagnò al sacco di Roma del 1527. Fra malattia e omicidi, morirono oltre 20.000 romani, e della bellezza della città rimasero le statue intrasportabili, gli affreschi e i muri, tranne quelli delle 3600 case incendiate e distrutte. Il vertiginoso declino dell'economia che si verificò durante la successiva dominazione spagnola riacutizzò i fenomeni epidemici e delle carestie. La peste del 1630-31, che Manzoni descrive nei Promessi Sposi, risparmiò solo la popolazione della Sicilia. Noi risparmiamocene il ricordo, per averne letto troppo, e spesso male, a scuola.

Va ricordata, invece, l'ultima vera epidemia dell'epoca moderna: quella della cosiddetta "spagnola", che fra il 1918 e il 1920 colpì un mondo, Italia compresa, già atterrato e atterrito dalla Grande Guerra, provocando decine di milioni di morti, più della stessa guerra.

La spagnola darà molto da fare ai centenaristi, che non rimarranno disoccupati, dopo le commemorazioni della Prima guerra mondiale. Oggi, intanto, consoliamoci: con tutto il timore che possiamo avere per l'ebola, non è più pensabile niente di simile a quella strage di nemmeno un secolo fa.

@GBGuerri

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