
Il 2024 si è chiuso con una contrazione della produzione industriale italiana del 3,5% rispetto all'anno precedente. È quanto ha reso noto ieri l'Istat, evidenziando una dinamica negativa dell'indice corretto per gli effetti di calendario in tutti i mesi dell'anno, con cali congiunturali in tutti i trimestri. Nello scorso dicembre l'indice destagionalizzato della produzione industriale ha registrato una diminuzione del 3,1% rispetto al mese precedente. Al netto degli effetti di calendario, il calo tendenziale è stato del 7,1%, considerando che i giorni lavorativi di dicembre 2024 sono stati 20 contro i 18 di dicembre 2023.
Questi dati evidenziano come, alla forte crescita delle presenze turistiche in Italia, faccia da contraltare una contrazione delle attività produttive. Il calo congiunturale di dicembre (-3,5%), ha frustrato le speranze alimentate dalle dinamiche di ottobre e novembre (invariato su base mensile e +0,3%). È quanto ha sottolineato il direttore dell'Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, commentando i dati Istat. «Al di là delle oscillazioni mensili, bisogna prepararsi a diversi mesi ancora di confronto tendenziale particolarmente penalizzante». L'analisi settoriale mostra un andamento negativo per quasi tutti i comparti. L'indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per l'energia (+0,9%), mentre registra flessioni per i beni strumentali e i beni di consumo (-3,3% per entrambi) e per i beni intermedi (-3,6%). Anche su base annua, la tendenza negativa persiste, con un'unica eccezione: il settore energetico, che segna una crescita del 5,5%. Al contrario, i beni strumentali subiscono un calo del 10,7%, i beni intermedi del 9,5% e i beni di consumo del 7,3 per cento.
Particolarmente accentuata appare la crisi dell'auto con l'Anfia che annuncia una produzione a -65% a dicembre e nel 2024 a -43 per cento. Lo scenario internazionale, inoltre, non è incoraggiante con una imminente guerra dei dazi che penalizzerà ancora di più l'export. Le politiche industriali e di transizione a livello europeo segnano ancora il passo. «La crisi o la contrazione della produzione industriale non è italiana, è europea» e si registra «soprattutto dei Paesi come la Germania, che come noi ha una posizione importante», ha commentato il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. «La nostra intenzione - ha aggiunto - è rafforzare» la posizione di seconda industria manifatturiera in Europa dell'Italia «anche perché la Germania ha delle difficoltà strutturali molto più significative rispetto a quelle italiane».
Nel 2024 la produzione alimentare è quella che è cresciuta di più (+1,8%) a fronte di un calo generale che ha travolto praticamente tutti gli altri settori, con punte dell'11,3% per i mezzi di trasporto e del 10,5% per l'abbigliamento. È quanto hanno sottolineato Coldiretti e Filiera Italia. A spingere la produzione di cibo made in Italy è anche il record dell'export che nel 2024 ha raggiunto il valore di 70 miliardi di euro, il massimo di sempre, con un aumento dell'8% rispetto all'anno precedente. Coldiretti, però, avverte che la ricchezza del settore agroalimentare, che vale oltre 620 miliardi di euro, è minacciata da fattori come il cambiamento climatico e l'aumento dei costi di produzione, in particolare dell'energia.
«Siamo preoccupati, pensiamo sia importante che l'industria possa riprendersi. Seguiamo le vertenze in corso, soprattutto le più grandi, auspicando che si arrivi a soluzioni che tengano insieme tutela del lavoro, dell'impresa, dell'ambiente e della sicurezza», ha commentato la nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, interpellata sull'andamento poco incoraggiante della produzione.
Secondo Massimiliano Dona, presidente dell'Unione nazionale consumatori, «prosegue lo tsunami che dura da 23 mesi consecutivi, con un crollo della produzione industriale che, nei dati corretti per gli effetti di calendario, dura ininterrottamente da febbraio 2023; un tunnel in cui le imprese sono entrate quasi due anni fa e dal quale non sono ancora uscite». Secondo lo studio dell'associazione, nel confronto con il 2022, il gap arriva addirittura al 5,4 per cento.
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