Già nella tarda mattinata di ieri si è diffuso un panico generale in tutte le mogli che beneficiano di un assegno divorzile (o che aspirano ad ottenerlo).
La causa è stata la pubblicazione dell'ultimissima sentenza della Corte di Cassazione presentata su tutti i media come una vera e propria «rivoluzione» nel diritto di famiglia.
Secondo l'interpretazione fornita dai primi commenti, sarà molto più difficile per il coniuge debole ottenere il riconoscimento di un assegno divorzile perché la Cassazione avrebbe elaborato nuove regole più rigorose e sfavorevoli a chi invochi un tale diritto.
Fermiamo le rotative, almeno un secondo.
Sì, è vero, la Suprema Corte è intervenuta a gamba tesa riassumendo esplicitamente le regole secondo cui un Giudice dovrebbe attribuire, ovvero negare, un assegno divorzile al richiedente.
Sì, è vero, la Suprema Corte ha fatto piazza pulita del riferimento al «tenore di vita matrimoniale», elaborato dalle Sezioni Unite già nel 1990 arricchendo il testo della legge sul divorzio. Sì, è vero, la Suprema Corte ha ribadito con forza il principio all'auto-responsabilità dei coniugi, che per il solo fatto di essersi sposati non possono poi pretendere gli uni dagli altri rendite parassitarie a vita.
Ma, c'è più di un ma.
Intanto la sentenza di ieri è riferita al divorzio, quindi ad una fase successiva alla separazione, e non riguarda gli assegni dei figli, i cui parametri rimangono inalterati. Va poi detto, ad onor di verità, che la Cassazione è intervenuta in un caso particolare dove la moglie che si è vista negare l'assegno vi aveva già rinunciato in sede di separazione e presentava un profilo non così diffuso: imprenditrice recita la motivazione della sentenza in commento con un'elevata qualificazione culturale, titolare di alta specializzazione ed importanti esperienze professionali anche all'estero.
Allora c'è o non c'è questa paventata rivoluzione copernicana? Vedremo, mi vien da dire. Da un lato ricordo che non siamo in un paese di Common Law - dove il precedente giurisprudenziale è vincolante - ed i nostri Giudici ci hanno abituato ad un'ampia discrezionalità nel decidere. Dall'altro il parametro del tenore di vita matrimoniale, che deve scomparire secondo la Corte di Cassazione di ieri, era già stato molto affievolito nell'applicazione pratica, per cui i «nuovi» dettami della Suprema Corte si stavano già pian piano facendo largo nell'applicazione concreta (in Tribunali all'avanguardia come quello di Milano, ad esempio).
Certo è che da domani vigerà un'attenzione più marcata verso il profilo individuale di ciascun coniuge, in sede di divorzio. La comparazione fra le capacità rispettive dei coniugi e la ricerca del livello di vita matrimoniale si affievolisce.
È come se la Cassazione ci dicesse che il matrimonio rappresenta solo una parentesi, che una volta finito tutto deve tornare come prima. Con buona pace di quella responsabilità post-coniugale che è scolpita nel nostro codice civile e nella nostra Costituzione.
Piaccia o non piaccia, per la Suprema Corte ciascuno deve ragionare da individuo e rinunciare a diritti perpetui generati da un legame che, dunque, diventa solo una parentesi di vita: sposandosi uno deve accettare il rischio che il «gioco» finisca e che ciascuno torni nella condizione in cui era prima del matrimonio.
Uno schema che può apparire spietato per le donne che hanno sacrificato la vita per i figli e per un progetto matrimoniale che le ha viste rinunciare alla carriera lavorativa.
Ma una tutela in più per quegli uomini che sono costretti a fronteggiare mogli pretenziose il cui solo scolpo è conseguire una rendita
perenne, rifiutando di rimettersi in gioco, di sperimentare un responsabile cammino di indipendenza, soprattutto in giovane età.Ma forse è giusto così: come insegnava Epicuro, la più grande ricchezza è nel bastare a se stessi.
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