«L'arresto del governatore Giovanni Toti era davvero necessario, visto che la misura cautelare si riferisce a fatti accaduti anni prima?». Il segretario dell'Unione delle camere penali Rinaldo Romanelli si fa una domanda retorica, la risposta si mescola ai dubbi che serpeggiano nel mondo politico ma anche alle riflessioni dei giuristi, con buona pace delle direttive Ue sulla presunzione di non colpevolezza ormai calpestate.
«C'è un'evidente contraddizione tra il dettato normativo in materia di misure cautelari e il concreto regime di applicazione delle stesse», dice Romanelli al Giornale, senza entrare nel merito. «Le regole dettate dal codice di rito, estremamente stringenti, disciplinano in termini di assoluta necessità e rigorosa gradualità l'emissione di provvedimenti cautelari», ma le cronache ci restituiscono invece «provvedimenti limitativi della libertà personale, financo il carcere, soprattutto se le ipotesi di reato contestate destato allarme sociale». La sensazione è che un'indagine senza arresti, meglio se eccellenti, non renda il giusto riscontro mediatico a Procure e polizia giudiziaria. Che ne è della stretta del 2015, che ha introdotto l'obbligo di valutazione autonoma del Gip, anche per evitare gli spiacevoli copia-incolla delle richieste dei pm? «È la prova di un sistema che nel complesso, evidentemente, non funziona e non garantisce chi viene sottoposto ad indagine», sottolinea il legale, secondo cui le condizioni per emettere la misura cautelare (pericolo di fuga o reiterazione del reato) «non devono solo essere concrete, e dunque non meramente ipotetico, ma anche attuali, sul piano logico, prima ancora che giuridico. E questo pericolo concreto - aggiunge Romanelli - non può essere desunto solo dalla gravità del reato». Il cuore del problema che sta a cuore ai penalisti è rispettare i principi costituzionali «che impongono che nessun cittadino sia limitato nella propria libertà personale fino ad una condanna definitiva, se non in casi assolutamente eccezionali e con il minimo sacrificio possibile».
Anche il valore dell'avviso di garanzia viene meno: «Sapere di essere sottoposto a indagine per tali fatti, non avrebbe dissuaso anche il più disinvolto degli amministratori dal reiterare le condotte delittuose ipotizzate?», è il quesito che sollevano le Camere penali attraverso il proprio segretario rispetto al delicato equilibrio tra il potere della magistratura e e il rispetto della volontà popolare.
L'effetto delle indagini è privare la Regione della sua guida, democraticamente e direttamente eletta dal popolo «sebbene il legislatore abbia espressamente disposto che la sospensione dell'indagato dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio non si applichi agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura
popolare». Eccolo, il rammarico finale di Romanelli: l'arresto di Toti infrange l'equilibrio voluto dal legislatore, «impedendo in concreto l'esercizio di tale funzione». E qui ritorna la domanda: «Era davvero necessario?».
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