L'Iran adesso temporeggia. Gli Usa a difesa di Israele

Pressing occidentale su Teheran per evitare un'escalation, ma c'è l'incognita Hezbollah. Washington: "Un cessate il fuoco è più vicino"

L'Iran adesso temporeggia. Gli Usa a difesa di Israele
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Che si tratti della quiete prima della tempesta o di una effettiva schiarita è presto per dirlo. Fatto sta che dopo l'uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran, gli attori in campo nello scontro tra Israele e Iran si sono moltiplicati e qualcosa si sta muovendo. Resta l'ansia di un possibile imminente attacco iraniano su Israele ma sembrano cambiate modalità e proporzioni, al punto che il portavoce per la sicurezza nazionale americana John Kirby, di solito sempre misurato, arriva a dire che «siamo più vicini che mai ad un accordo sul cessate il fuoco». Anche se tra i due contendenti, rimane l'incognita di cosa farà Hezbollah, scheggia impazzita di una situazione già di per sé intricatissima.

Ci sono le parole, interpretabili in parte ma pur sempre esplicative del momento. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu non arretra e dice «andiamo avanti fino alla vittoria», spiegando che ai cittadini che «sono in allarme», che è necessario «mantenere la calma, siamo pronti sia per la difesa che per l'attacco, stiamo colpendo i nostri nemici e siamo determinati a difenderci». A fornire maggiori dettagli, il capo di stato maggiore dell'Idf Herzi Halevi che attacca: «Saremo in grado di lanciare un attacco molto rapido ovunque in Libano, ovunque a Gaza, ovunque nel Medio Oriente, sopra e sotto terra. Invieremo un messaggio molto chiaro ai nostri nemici», in una dichiarazione tutt'altro che conciliante. Diversi i toni utilizzati dal presidente iraniano Masud Pezeshkian: «L'Iran vuole evitare la guerra e sforzarsi per stabilizzare la pace e la sicurezza mondiale, ma si riserva il diritto di rispondere ai recenti attacchi di Israele», ha detto. Perché dalle parole bellicose e dalle minacce dei giorni scorsi si è arrivati a questo? A quanto pare l'opera diplomatica dell'Occidente, con gli Stati Uniti in testa, starebbe funzionando. In particolare sarebbe stato efficace il pressing Usa per convincere Teheran che l'attentato contro Haniyeh non sia stato un vero e proprio atto di guerra contro l'Iran da parte di Israele, quanto un'operazione mirata portata avanti soprattutto da membri della stessa intelligence iraniana al soldo di Israele. Una sorta di «fatto interno», quindi, che non meriterebbe un'escalation. In particolare, secondo indiscrezioni del New York Times l'ordigno potrebbe essere stato piazzato da due iraniani reclutati dal Mossad tra i membri del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, le stesse persone che avrebbero dovuto proteggere l'edificio dove veniva ospitato il leader di Hamas.

Ieri Pezeshkian ha avuto anche un colloquio telefonico con il presidente francese Emmanuel Macron in cui ha sostenuto che «l'Iran non rimarrà mai in silenzio di fronte a violazioni contro i propri interessi e la propria sicurezza», facendo intendere che sì, ci sarà una reazione ma che questa potrebbe anche essere più simbolica che devastante come si tenev in un primo momento. Anche perché lo stesso Kirby è stato molto chiaro: «Se ci sarà un'escalation gli Stati Uniti sono pronti a difendere Israele e noi stessi nel modo appropriato», il che non è male come deterrente. Con Macron che da parte sua, ha invitato Teheran «a fare tutto il possibile per evitare una nuova escalation militare, che non è nell'interesse di nessuno, Iran incluso». «Se l'America e i Paesi occidentali vogliono davvero prevenire la guerra e l'insicurezza nella regione, per dimostrarlo, dovrebbero immediatamente smettere di vendere armi e sostenere il regime sionista e costringere questo regime a fermare il genocidio e gli attacchi a Gaza e ad accettare un cessate il fuoco», ha sottolineato Pezeshkian.

Se l'Iran, in qualche modo, per via diplomatica sembra disinnescabile, resta il dubbio di come si muoverà Hezbollah. Ieri un comandante del movimento di base in Libano è stato ucciso n un attacco con un drone.

Hassan Fares Jeshi, era responsabile del lancio di missili anticarro nel Nord di Israele ed è stato colpito nel Sud del Libano, nel corso di uno dei tanti raid di Tel Aviv sulla zona in quello che resta il fronte meno prevedibile di un conflitto per nulla lineare.

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