L'Iran non si nasconde. Sua la regia

Gli Usa prudenti: "Valutiamo il ruolo di Teheran". In ballo c'è l'intesa tra Israele e sauditi

L'Iran non si nasconde. Sua la regia
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Nonostante le cautele degli americani («Stiamo cercando di valutare il ruolo dell'Iran in questa guerra»), una serie di indizi sta lì a dimostrare che quella cominciata all'alba di sabato da Hamas è una guerra per procura dell'Iran contro Israele. A Teheran non fanno niente per nasconderlo: anzi, i vertici della Repubblica Islamica elogiano pubblicamente gli autori delle stragi di civili israeliani. Lo ha fatto, in prima persona, lo stesso presidente della Repubblica islamica dell'Iran, Ebrahim Raisi, assicurando con una telefonata al capo di Hamas Ismail Haniyeh (da tempo rifugiato in Qatar) «il sostegno alla resistenza e al popolo palestinese e l'apprezzamento per ciò che stanno facendo i mujaheddin di Hamas».

Teheran insomma attribuisce l'intera responsabilità «al regime sionista e ai suoi sostenitori», parla di «sostegno all'autodifesa della nazione palestinese» e soprattutto invita «i governi musulmani a unirsi nel sostenere la nazione palestinese». Quest'ultimo è il passaggio fondamentale del messaggio di Teheran: perché l'obiettivo dell'Iran è l'uccisione in culla dell'intesa tra l'Arabia Saudita e Israele, che coronerebbe la svolta di pace in Medio Oriente avviata con i Patti di Abramo, che hanno sancito sotto l'egida americana l'avvio di normali relazioni tra lo Stato ebraico e gli Emirati Arabi, il Bahrein, il Marocco e il Sudan. Scatenando una guerra tra palestinesi e Israele, gli iraniani contano di portare dalla loro parte le opinioni pubbliche musulmane e di mettere politicamente in difficoltà le dirigenze dei Paesi «traditori», a cominciare da Riad. Ma nemmeno Hamas si nasconde: non solo Haniyeh ha assicurato Raisi che la battaglia è appena iniziata e si concluderà con una solida vittoria, ma un suo portavoce, Ghazi Hamad, ha detto «con orgoglio che abbiamo ricevuto il diretto sostegno dell'Iran». E che sostegno: non solo da anni Teheran forniva armi e fiumi di denaro ai suoi fedeli delle milizie di Jihad Islamica, ma tra agosto e settembre scorsi aveva preso ad addestrarla insieme con Hamas sotto il naso dei servizi d'intelligence israeliani fornendo loro in una serie di incontri riservati geolocalizzazione dei bersagli da colpire in Israele e (per il tramite delle forze Al Quds iraniane) armi adeguate. Il risultato lo si è visto sabato mattina, con un'operazione militare coordinata nei dettagli e condotta da personale che sapeva benissimo come muoversi. Tra le conseguenze, l'incredibile presa di (così si stima) un centinaio di ostaggi israeliani tra civili e militari. L'obiettivo è triplice: farne oggetto di propaganda per galvanizzare i palestinesi e i musulmani, usarli come scudi umani per rendere difficile ai militari israeliani colpire bersagli di Hamas a Gaza e spenderli come merce di scambio per ottenere la liberazione dalle prigioni israeliane di migliaia di terroristi palestinesi.

Rimane poi da vedere quando (più che se) entrerà in campo la potente milizia filoiraniana libanese Hezbollah, che per ora si è limitata a parole di sostegno per Hamas e a simboliche cannonate contro l'avamposto israeliano di Shabaa Farms: l'apertura di un fronte nord significherebbe guerra a tutto campo e un ruolo ancor più scoperto di Teheran. Tutto questo mette in grave difficoltà anche Joe Biden.

Che ora promette aiuto militare senza limiti a Netanyahu, ma ha aperto al compromesso sul nucleare con l'Iran con il recente scambio di 6 miliardi di dollari per cinque cittadini Usa detenuti nella Repubblica Islamica: tutto carburante per la propaganda di Donald Trump.

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