Lo scenario ideale per la Lega era completamente diverso: vittoria storica in Toscana con la candidata leghista Ceccardi e sorpasso del No - sostenuto apertamente da pezzi importanti del Carroccio - per disarcionare il governo e andare al voto anticipato. Dalle urne invece per Salvini è uscito un risultato deludente che rappresenta il primo vero inciampo della sua leadership nel centrodestra.
Non sfuma infatti solo il sogno del colpaccio in Toscana, che invece si rivela una riedizione dell'Emilia-Romagna e cioè, alla fine, un involontario assist al Pd che può esultare per una vittoria considerata fino a poche settimane fa scontata. C'è poi anche la competizione interna con gli alleati, in particolare con Fdi che cresce ovunque e ormai tallona la Lega su percentuali spesso anche a doppia cifra. Se Salvini incassa la sconfitta toscana (partita, va ricordato, molto ardua), la Meloni porta infatti a casa una vittoria, nelle Marche, con il suo candidato Acquaroli.
Ma anche gli altri vincenti nel centrodestra rappresentano la «concorrenza» alla leadership salviniana. In Liguria stravince Giovanni Toti, ex forzista su posizioni lontane dal sovranismo leghista su temi chiave come il Mes. E poi c'è il caso Veneto, dove il trionfo di Zaia paradossalmente rappresenta quasi un problema per Salvini nelle logiche interne al partito. La lista di Zaia infatti surclassa la Lega (46% a 15%), alimentando così le ipotesi di un prossimo cambio alla guida della Lega, e forse non solo lì. Salvini però nega qualsiasi rivalità con «il Doge»: «Per me che Zaia sia uno dei governatori più amati è motivo di vanto. Non temo e non soffro alcuna competizione interna, la mia competizione è con il Pd».
Ma anche il dato dei voti di lista non è travolgente per Salvini che arretra rispetto alle Europee del 2019. La Lega arriva seconda non solo in Veneto, ma anche in Liguria, battuta anche lì dalla lista del governatore «Cambiamo con Toti». In Toscana e nelle Marche resta dopo il Pd. Dove va peggio è al Sud, in particolare la delusione è più cocente in Puglia dove le aspettative erano alte in via Bellerio. Lì la Lega si attesta sul 9%, meno sia di Fdi che di Forza Italia. Ancora meno in Campania, dove Salvini si ferma sotto il 5%, malgrado l'impegno profuso in campagna elettorale tra mozzarelle e limoni di Sorrento. Segno evidente che la resistenza a sfondare al sud rimane un problema per la Lega (oggi ci sarà un ulteriore test con i risultati delle comunali). Poi c'è l'errore tattico di non essersi intestato la vittoria del Sì, riforma che pure la Lega aveva firmato insieme al Movimento Cinque Stelle e votato in Parlamento per quattro volte su quattro. Facendo così in modo che il trionfo del Sì passi per un successo di Di Maio e persino del Pd, che pure si era sempre opposto al taglio dei parlamentari. E che la maggioranza di governo blindi la legislatura e inchiodi la Lega all'opposizione ancora per molto tempo.
La tornata insomma ridimensiona la leadership di Salvini e rappresenta una battuta d'arresto nella cavalcata della Lega che sembrava finora inarrestabile. Non è un caso che in conferenza stampa il segretario federale usi immagini e metafore più ispirate alla prudenza e alla mediazione con gli alleati rispetto al passato («Abbiamo aggiunto due mattoncini, ora governiamo 15 regioni contro 5 del centrosinistra, finora il dato era 13 a 7»). E che parli sempre a nome della coalizione e non solo della Lega, lodando il «modello Genova», il «modello Sassari» e il «modello Brugnaro», quelli appunto dove il centrodestra corre unito. Ma Salvini non è intenzionato a mollare lo scettro di capo del centrodestra: «Le leadership le decidono i cittadini, e la Lega è il primo partito del centrodestra. Le leadership non si decidono a tavola, le decidono gli elettori con il voto».
Sottotraccia però score la polemica con gli alleati per la scelta dei candidati in Campania e Puglia, da sempre considerati troppo «vecchi» da Salvini. «Nel Mezzogiorno, purtroppo, credo che una riflessione debba essere fatta da tutto il centrodestra» dice uno dei suoi vice, l'ex ministro Lorenzo Fontana.
Salvini fa capire più chiaramente l'oggetto della recriminazione: «Pensavo e speravo qualcosa di più in Puglia». L'ostinazione di Fdi di far correre Fitto, mentre la Lega chiedeva di candidare uno dei suoi, è un errore che Salvini farà pesare agli alleati nelle prossime scelte (nel 2021 si vota in molte città importanti).
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