Obsolescenza delle parole. È un fenomeno che conoscono bene i filosofi dei social ma anche i politici che ci governano. Nel nostro sistema perennemente connesso, dove tutto diventa comunicazione e poco si cristallizza in esperienza, i segni scorrono velocissimi. Sostituiti da altri segni in un ciclo sempre più breve. Un tempo le promesse dei politici venivano sottoposte a verifiche, oggi invece una parola finisce di esistere quando ha esaurito il suo ciclo persuasivo e viene sostituita da un'altra più strategica al momento. Anche nel giro di poche ore. Non c'è neanche il tempo per il factchecking almeno giornalistico, le opposizioni sono spiazzate e rilanciano altre parole. Sempre però più sommersi di segni, di nuovi temi, di nuove finte proposte di dialogo, Salvini e Meloni si fanno portare nel metagioco delle regole formali di un incontro con il governo anziché combattere sulle questioni meritocratiche. E Conte li sbeffeggia in una conferenza stampa internazionale. Alla fine dobbiamo ammetterlo, questo Giuseppi è abile, non fa il bene del Paese ma è bravo nella conservazione di sé. Uno che vuole salvare l'Italia che fa? Metto insieme le sue parole. La rilancia. Taglia l'Iva, ammazza la burocrazia con meravigliose semplificazioni, sblocca i cantieri, ci porta nel vorticoso mondo del digitale e investe nell'ambiente. Poi uno si guarda intorno e vede il pasticciaccio brutto del Ponte Morandi, la giustizia sempre più ingiusta e sempre più impunita, i ristoranti e gli alberghi vuoti, milioni di persone ancora chiuse in casa. Addio turisti, conti in rosso ovunque.
Salvini, che la comunicazione la conosce, ha intuito ed è sbottato: da quel parolaio non vado. Ma quel parolaio non è un personaggio cattivo di Collodi, la realtà non è una fiaba. Ed è questo scollamento fra la semiotica politica ufficiale e quella del paese reale che preoccupa. C'è chi parla di un autunno terribile, ma l'angoscia già c'è, è palpabile. I racconti di Conte, il racContesmo, sono nell'insieme una narrazione funzionale, ma prima o poi dovremo vedere quanto è rimasto sul conto corrente, personale e nazionale.
Intanto a settembre si vota, ci si conta di nuovo e poi si vede.
E Mattarella purtroppo rimane alla finestra, ma attenzione perché la vista dal Quirinale rischia di non essere più quella di Galileo, un richiamo all'oggettività, al valore delle parole, al significato etico delle promesse. Rischia di essere un altro flusso di segni che si perdono nella retorica del discordo pubblico che rigenera se stesso.
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