Qualcuno nel centrodestra ora gigioneggia un po', sostenendo che sono «due buone notizie», le dimissioni di Letizia Moratti e l'arrivo - anzi il ritorno - a Palazzo Lombardia di Guido Bertolaso, l'ex capo della Protezione civile che già aveva realizzato l'ospedale anti-Covid e la campagna vaccinale, e ora diventa assessore con i complimenti di Silvio Berlusconi («generoso e competente servitore dello Stato), il «buon lavoro» di Matteo Salvini e il «placet» di Fratelli d'Italia. Bel colpo per il centrodestra, in effetti.
Il passo indietro della vicepresidente della Regione (e assessore al Welfare), invece, è stato annunciato ieri, e non è certo un fulmine a ciel sereno dopo lo stallo, imbarazzante a dir poco, che ha logorato i rapporti col governatore Attilio Fontana. Dimissioni prevedibili dunque. Colpisce, invece, il tono polemico verso il centrodestra, e sembra preludere a un'avventura elettorale con altri compagni, magari il Terzo polo di Carlo Calenda, vista la «strana» sintonia scoppiata ieri. Che senso possa avere per Moratti non si sa, se non quello di un'impuntatura per provare a far perdere Fontana.
Per ora si sa che, dopo un tormentone lungo mesi, la vicepresidente si è arresa, non ha potuto far altro che mollare. Nonostante gli sforzi prodotti, nonostante lo spessore del personaggio, nonostante tutto, il centrodestra non l'ha voluta accontentare: il candidato alle prossime regionali non sarà lei. Nel braccio di ferro interno al centrodestra ha prevalso Fontana, leghista di lungo corso, che a questo punto potrebbero anche fissare il voto a febbraio.
Per molti, questo epilogo ha il sapore di una liberazione. Insostenibile il dualismo fra il presidente e la sua vice, che dovevano lavorare insieme in giunta e intanto - fuori - contendersi la nomination elettorale della coalizione. Troppo irriguardosa, nei confronti di Fontana, questa aria costante di sfida, questa «opa ostile» basata su sondaggi e ambizioni esibite in ogni sede. Fin troppo è durata, forse, questa strana «separazione in casa», dal momento che il presidente, già la sera 30 settembre dopo il faccia a faccia «definitivo», ma infruttuoso, aveva dichiarato che «il rapporto fiduciario» con la sua vice si era «incrinato». Poche ore prima Moratti, in un'intervista rilasciata alla trasmissione di Rai3 «Il cavallo e la torre, aveva rivelato che la sua decisione di entrare a far parte della giunta era arrivata nel momento in cui le era stato promesso «un passaggio di testimone a fine legislatura». Fontana, per tutta risposta, le aveva chiesto da che parte stesse, e le aveva «virtualmente» tolto le deleghe, rimettendo la decisione definitiva al leader del centrodestra.
Dopo l'esito del voto, dopo la formazione del governo - senza ministeri per Moratti - e infine dopo la vana proposta di incarichi che la ex sindaca non considerava consoni al suo curriculum - a partire da quello di «ad» delle Olimpiadi - ogni margine per ricomporre si è esaurito. Ieri in tarda mattinata Moratti ne ha preso atto e ha cercato un pretesto plausibile, rigirando la frittata della «sfiducia» con Fontana. «Di fronte al venir meno del rapporto di fiducia con il presidente Attilio Fontana - ha detto - annuncio la decisione di rimettere le deleghe di vicepresidente e di assessore al Welfare di Regione Lombardia».
Il «casus belli» accampato sarebbe la linea morbida con i medici «no vax», ma anche la capogruppo di FdI, Barbara Mazzali, sentenzia che «le dimissioni di Moratti «poco o nulla hanno a che vedere» con le decisioni del governo. La campagna elettorale ora può iniziare.
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