L'Onu riceve fondi dall'Italia. Ma tace sul caso Attanasio

Il Pam continua a non rispondere alle domande dei pm. Dalla Ue ha preso quasi 2 miliardi nel 2020

L'Onu riceve fondi dall'Italia. Ma tace sul caso Attanasio

L'Italia nel 2021 le ha devoluto 60milioni 60mila 686 dollari. L'Unione Europea, Italia compresa, le ha allungato, nel 2020, un miliardo e 980 milioni di euro. Soldi in teoria ben spesi visto che il Pam (Programma Alimentare Mondiale) è un'agenzia dell'Onu che dona e trasporta cibo là dove guerre e carestie mettono a rischio intere popolazioni. Il problema è che a fronte della generosità del nostro paese e di un Unione Europea di cui siamo quarti contributori, il Pam contrappone un'omertosa chiusura sul fronte delle indagini riguardanti la morte dell'ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Jacovacci e dell'autista Mustapha Milambo uccisi mentre viaggiavano con l'organizzazione nella regione congolese del Kivu.

L'evidente contraddizione è evidenziata in una mozione degli eurodeputati di Fratelli d'Italia indirizzata all'Alto Rappresentante dell'Unione Europea Josep Borrel. Ora è chiaro dall'Ue, come si capì già ai tempi della questione dei marò detenuti in India, c'è da aspettarsi assai poco. Per contro c'è molto da riflettere sull'ambiguità di un'agenzia Onu che pur di trasformare un diplomatico in «testimonial» del proprio operato trascura e omette le più elementari norme di sicurezza portandolo di fatto alla morte assieme ad altre due persone.

Perché questo è il punto. Lo scorso febbraio Luca Attanasio, diplomatico giovane e generoso, intendeva approfittare d'una visita nel Kivu per visitare una scuola trasformata dal Pam in un centro di distribuzione alimentare. La disponibilità e la testimonianza del diplomatico rappresentavano la chiave per favorire i finanziamenti necessari all'apertura di un altro centro. Per effettuare la visita bisognava però attraversare una zona a rischio interessata in quei giorni da uno stato d'allerta. L'unico modo per farlo in sicurezza era chiedere una nutrita scorta di «caschi blu» della missione Monusco. Menzionare la presenza di un diplomatico straniero e di un carabiniere significava rischiare, però, che i vertici Monusco considerassero l'escursione troppo azzardata negando scorta e autorizzazione. Un problema che sembrerebbe esser stato risolto alterando i documenti così da nascondere alla Monusco la presenza dell'ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci. Un'omissione che il procuratore aggiunto di Roma Sergio Colaiocco, responsabile dell'inchiesta, vorrebbe verificare interrogando Mansour Rwagaza, il responsabile della sicurezza del Pam già indagato con l'accusa di omicidio colposo per omessa cautela, e l'italiano Rocco Leone al tempo vice-direttore del Pam in Congo. Due testimonianze preziose perché entrambi i funzionari del Pam viaggiavano con Attanasio e sono sopravvissuti all'imboscata.

Ma le legittime richieste del magistrato si scontrano con le barriere legali frapposte da un Pam deciso a rivendicare l'immunità diplomatica per i propri funzionari e nasconderne così le eventuali responsabilità.

Una posizione sostenuta anche dopo la lettera del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che chiede al direttore del Pam «la massima collaborazione con la magistratura italiana» e «una rapida risposta alla richiesta di elementi utili per le attività investigative in corso». Una posizione inaccettabile per un'agenzia Onu che, ha sede su un colle di Roma e lavora grazie ai finanziamenti di Italia ed Unione Europea.

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