Roma - Disinvoltura, opportunismo ed eccessiva personalizzazione hanno nuociuto al M5s nelle elezioni regionali friulane. Ne è convinto Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell'Alta scuola di economia e relazioni internazionali della Cattolica di Milano.
Professor Parsi, come spiega il dimezzamento dei voti per i pentastellati in Friuli Venezia Giulia?
«Innanzitutto c'è anche una dimensione locale legata al fatto che Fedriga all'interno della Lega è di gran lunga uno dei personaggi più preparati. Poi, Di Maio ha cercato di presentare la sua posizione come post-ideologica imponendo l'alternativa vecchio-nuovo alla tradizionale destra-sinistra. L'elettorato lo ha percepito come disinvolto, opportunistico, iperpersonalizzato e lo ha punito».
Dunque non si tratta di una normale dinamica dei flussi elettorali?
«Probabilmente il voto per i Cinque stelle è stato sia un voto in uscita da Forza Italia sia un voto in uscita dal Pd ma, nel momento in cui si cerca un'intesa per formare un governo, chi ha votato M5s non sopportando Renzi non può esser messo insieme a chi ha votato M5s non sopportando Berlusconi».
Qual è stata la mossa vincente del centrodestra?
«Il centrodestra ha una capacità di coalizione molto forte. Inoltre nella regione della Serracchiani quelli che volevano cambiare governatore erano motivati al voto, mentre i delusi dall'apparato di potere renziano probabilmente si sono astenuti. In questa situazione c'è un elettorato che ha più fiducia nel centrodestra rispetto ai Cinque stelle perché la coalizione di centrodestra a livello regionale funziona benissimo in Lombardia, Veneto e Liguria. Tant'è vero che Maroni è stato avvicendato da un esponente meno noto come Fontana».
M5s non riesce a intercettare nuovi voti perché ritenuto meno affidabile?
«I Cinque stelle a livello locale e regionale governano Torino e Roma non con brillantissimi risultati e questo scoraggia l'elettorato. Poi, mentre il centrodestra massimizza la capacità di coalizione, M5s ha una colossale difficoltà di coalizione in parte per una conventio ad excludendum verso gli altri partiti e in parte per quella degli altri verso i pentastellati. Rischia di fare la fine del vecchio Pci senza avere chiaramente né il retroterra culturale né l'appoggio dei media. E senza governare nelle Regioni».
In queste ore si torna a parlare di modifica della legge elettorale e di doppio turno alla francese. Lei cosa ne pensa?
«Un cambiamento sarebbe auspicabile. Il modello francese, però, ha un doppio turno che riguarda il collegio e non il partito. Il successo di Macron alle legislative si spiega così. Noi non abbiamo, però, un sistema presidenziale e quindi il doppio turno non ha senso. O ci si indirizza verso il maggioritario secco o verso un proporzionale puro in modo che i partiti sappiano sin dall'inizio che dovranno coalizzarsi».
E se restasse l'attuale legge elettorale?
«Salvini ha confermato la sua strategia di resistere e di restare dentro al centrodestra. La coalizione, perciò, può ottenere un risultato migliore e conquistare la maggioranza. Un governo di minoranza ha poco senso. È una repubblica parlamentare: o c'è una maggioranza e si governa o, prima o poi, il presidente dovrà prendere atto dello stallo senza interpretare come un aruspice gli esiti di nuove consultazioni sulla base dei sondaggi. Difficilmente, a mio parere, l'elettorato di centrodestra potrebbe tollerare un esecutivo con l'appoggio del centrosinistra».
Lo stallo non penalizzerebbe il centrodestra,
dunque?«L'iperpersonalizzazione nuocerà ai leader che si sono intestati il percorso post-elettorale: Di Maio e Renzi. Di Maio ha fagocitato gli altri personaggi visibili dei Cinque stelle e preso il posto di Grillo».
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