Mentre la Regione Lombardia si dispera per reperire 150mila mascherine monouso e s'infuria con la Protezione Civile per le 250mila arrivate simili a «carta igienica» alcuni imprenditori italiani s'ingegnano di realizzarne a milioni secondo le normative, dopo che dall'estero ne è stata bloccata la vendita. A Bergamo invece, nel focolaio del Coronavirus, qualcuno fa arrivare l'ordine al personale sanitario: «Sterilizzare le mascherine usate». Siamo nella centrale di sterilizzazione dell'ospedale Papa Giovanni XXIII, dove arrivano tutti gli strumenti contaminati dalle sale, dai broncoscopi ai singoli oggetti usati dal personale sanitario, per essere sterilizzati: l'ordine sarebbe firmato dal «procuratore speciale in materia di sicurezza e ambiente» che alle maestranze comunica «in accordo con la Direzione operativa sterilizzazione stante l'eccezionalità della situazione, la possibilità di trattare le mascherine Ffp2/p3 usate, con macchine sterilizzatrici al gas plasma, rendendole riutilizzabili». La centrale è stata appaltata da tempo ad una ditta esterna, la Servizi Italia, che ha assunto i dipendenti con un contratto da lavanderia industriale. Ma tra loro ci sono per ovvie ragioni anche diversi infermieri professionali, che, alla lettura della nuova disposizione del «procuratore speciale» della Servizi Italia, sono saltati sulla sedia: sterilizzare le mascherine usate e necessarie alla loro protezione dal virus? Per poi indossarle nuovamente? Non bastasse il loro nome, «monouso» o l'evidenza, anche le istruzioni di base delle mascherine Ffp2 e p3 ne vietano in modo assoluto il riutilizzo, la riparazione, il tentativo di rigenerazione: «Non alterare, modificare, pulire o riparare questo respiratore». C'è pure una sigla ad indicare il divieto di riusare: «NR, non riutilizzabile (solo per un turno di lavoro)». E oltre all'obbligo di verificarne la scadenza entro 3 mesi c'è il divieto di sottoporle a temperature superiori a 38 gradi, temperatura che la macchina sterilizzatrice al plasma supera. Non a caso, l'ospedale non ha mai nemmeno pensato di far risterilizzare le mascherine monouso dei propri dipendenti con quei macchinari, cosa che se fosse stata fattibile sarebbe stata messa in atto da un pezzo, evitando una corsa contro il tempo a tutte le istituzioni.
Il Procuratore speciale del centro, contattato dal Giornale, prima nega poi parla di «una richiesta avanzata da alcuni ospedali». Abbiamo provato a chiedere chiarimenti sull'iniziativa choc della società appaltatrice anche all'ospedale bergamasco, ma non è arrivata alcuna risposta, neanche in serata.
Alla centrale di sterilizzazione, a partire dal 5 marzo, per via dell'emergenza, era stata data indicazione tassativa di proteggersi: nel corso del lavaggio degli strumenti e nella fase di asciugatura tramite soffiatura con aria compressa, gli infermieri possono respirarne i vapori. E per i rischi che si corrono, non solo vi è l'obbligo di mascherine Ffp2 e p3, ma anche di guanti e visiere. Ieri l'ordine di indossare mascherine usate e poi sterilizzate.
Una pratica mai vista che ha lasciato nel panico molti dipendenti, nel terrore che senza effettiva protezione, lì dove si sterilizzano tutti i ferri provenienti dai reparti Covid, contagiarsi da oggi sarà fin troppo facile.
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