L'orgoglio di Amatrice: "Noi restiamo qui"

La patria degli spaghetti in pericolo di estinzione: "Andarcene? Non se ne parla"

L'orgoglio di Amatrice: "Noi restiamo qui"

nostro inviato a Amatrice (Rieti)

L'ultimo bottino del terremoto è il sonno. Con 600 scosse forti e meno forti in due giorni dormire è un lusso proibito. «Non gli basta averci rubato gli amici, i figli, a molti anche il lavoro», dice Francesco, che da sempre vive ad Amatrice e che ha un bimbo di cinque anni, protagonista di un siparietto che a ripensarci oggi, a pericolo scampato, riesce a strappare un sorriso al papà e ai suoi amici: quando è arrivata la botta forte Francesco è corso nella stanza del figlio urlando in modo così concitato che il bimbetto di cinque anni ha pensato che fosse arrabbiato perché tutti i soprammobili della stanza erano stati scaraventati per terra, e ha esclamato: «Papà non sono stato io a fare cadere tutto». Francesco lo ha preso in braccio ed è corso via. Ecco il sorriso di questo gruppo di amici è uno dei pochi gesti spensierati cui si assiste da ieri ad Amatrice.

Il borgo famoso per il sugo prelibato è una delle tante gemme di questo scorcio di Appennino. Un mosaico di pendii verdi, silenzio in abbondanza, passeggiate, panorami, case di sassi e mattoni sotto il cui tetto, finché il terremoto non le ha spazzate via, chiunque avrebbe desiderato vivere. Eppure questi borghi sono una specie costantemente a rischio di estinzione. L'Appennino laziale ha il record di micro paesi abitati da poche decine di persone. E in molti paesi sono rimasti solo gli anziani. «L'Italia è un paese di province che investe solo sulle grandi città», mormora amaro Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice. E in effetti le strade, anche prima che il terremoto le riempisse di ragnatele di crepe, erano scomode e tortuose. I servizi non ne parliamo: le aree di ombra dei cellulari sono più di quelle di copertura, le connessioni interne una lotteria. Vivere qui è come stare su un'isola, sarebbe l'ideale per chi vuole, e può, vivere in un buon retiro tranquillo e isolato ma collegato, se le tecnologie moderne facessero la loro parte. E soprattutto da queste parti il lavoro è poco: la risorsa principale sono i boschi, nei paesi tanti fanno i taglialegna, un po' di agricoltura, il turismo fatto soprattutto di seconde case dei romani.

Amatrice ha un'arma in più, i golosi bucatini di cui è il paese è riuscito a intestarsi la fama. E il terremoto ha colpito proprio qui, dove fa più male: le scosse sono arrivate proprio alla vigilia della 50esima edizione della sagra dell'Amatriciana. Dopo le scosse in paese tanti ripetono che non c'è più futuro. Ma qualcuno si intestardisce ancora. «Io sono di Avellino, ma vivo qui da 52 anni e lavoro a questa sagra fin dalla prima edizione - dice orgoglioso Carmine Monteforte, vice presidente del comitato organizzatore - Sa che le dico? Io non mollo». In paese c'è anche una comunità di una settantina di rumeni che qui hanno trovato un lavoro e una vita, chi in un negozio chi a fare da badante ai tanti anziani del Paese.

Sono stati duramente colpiti, ci sono almeno quattro morti, incluso un bambino di dieci anni, ma anche loro insistono: non ce andiamo. Sarà che hanno imparato lo spirito dei taglialegna: spalle larghe, braccia forti e testa dura. Se non è integrazione questa. Forse Amatrice ce la può fare. Gli altri paesi chissà.

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