Tutti professori, con specializzazione in anestesia e rianimazione. Giornalisti, opinioniste a gettone e starlette stanno in queste ore spiegando ad Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele e medico di Silvio Berlusconi, che cosa è il Covid e come lo si deve curare, il che è un po' come quando gli avventori del bar sport si piccano di saperne più di Ronaldo su come si fa un passaggio e si tira una punizione. Siccome non stiamo parlando di calcio, né di cinema e neppure di politica, a questi signori dico: se domani voi o i vostri figli, Dio non voglia, vi doveste trovare tra la vita e la morte pregate, brigate e tramate fin da oggi affinché finiate nelle mani del professor Alberto Zangrillo e del suo staff, o almeno di qualcuno equivalente per capacità ed esperienza.
La medicina non è un fatto di simpatia e neppure di comunicazione: è una scienza, non esatta ma pur sempre una scienza, e andrebbe lasciata nelle mani degli scienziati che nella vita professionale hanno dimostrato di saperci fare, non a blogger che non sanno di cosa stanno parlando.
Siamo in un mondo alla rovescia: Chiara Ferragni che sull'omicidio di Willy imbocca la pista della «cultura fascista» (da ieri è ufficiale che si tratta di un crimine per futili motivi) fa il paio con Selvaggia Lucarelli che da due giorni sta spiegando a Zangrillo cosa sta succedendo agli ammalati di Covid e se è vero o no che Berlusconi - come sostiene il professore - se avesse avuto gli stessi sintomi di oggi a marzo sarebbe morto. Ma si può insegnare il mestiere di rianimatore a uno che in rianimazione ci ha passato trent'anni, gli ultimi mesi dei quali barricato in ospedale diciotto ore al giorno a salvare (tante) vite?
Del resto parliamo della stessa compagnia di giro che nei mesi scorsi ha contestato e ridicolizzato l'ospedale Covid costruito in poche settimane e con soldi privati dalla Regione Lombardia nei padiglioni della Fiera di Milano: «Un grave spreco», avevano sentenziato questi geni esperti di sanità sicuri che il Covid mai più sarebbe tornato a minacciarci.
Morale, io non penso che le donne debbano necessariamente stare a casa a cucinare e riordinare il talamo, ma diciamo che in alcuni limitati e certificati casi sarebbe il male minore per la società.
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