Giuridicamente quella denuncia non sta né in cielo né in terra. Ma è un esempio della follia che anima i sostenitori della cosiddetta «giurisdizione universale», il principio secondo cui persone o istituzioni possono venir denunciati e giudicati da chiunque sulla base di (presunti) crimini commessi ovunque. Stavolta a far le spese di un principio molto ideologico e assai poco giuridico sono l'ex ministro degli interni Marco Minniti e l'attuale ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Su entrambi pende la spada di Damocle d'una denuncia presentata alla Corte Internazionale dell'Aja dall'Ecchr, il «Centro europeo per i diritti umani e costituzionali». L'organizzazione basata a Berlino fa capo a Wolfgang Kalek, un avvocato berlinese di estrema sinistra già distintosi per aver chiesto alla magistratura tedesca d'indagare il Segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfeld e il direttore della Cia Gina Haspel. Anche in questo caso Minniti e Salvini sono in buona compagnia. Assieme a loro gli azzeccagarbugli dell'Ecchr hanno denunciato l'ex-Alto Rappresentante Ue per le politiche estere Federica Mogherini, l'ex premier di Malta Joseph Muscat, il suo successore Robert Abela e, infine, l'ex-direttore di Frontex Fabrice Leggeri. Per tutti l'accusa è di «complicità» con la Guardia costiera libica nella «privazione della libertà». Approvando e sostenendo il finanziamento e l'addestramento della Guardia Costiera i vari denunciati avrebbero contribuito alle sevizie subite dai migranti riportati nei campi d'internamento libici. Per capire appieno l'incongruenza, l'infondatezza e l'inammissibilità della denuncia è necessario esaminarne i dettagli. Il primo, di non poco conto, è la collaborazione fornita all'Ecchr da Sea Watch. La Ong tedesca, sempre fra le più attive nel facilitare gli sbarchi sulle nostre coste, oltre ad aver raccolto per conto di Ecchr le cosiddette prove utilizzate per redigere la denuncia ne ha anche controfirmato la presentazione alla Corte Penale Internazionale dell'Aja. Un coinvolgimento a dir poco interessato visti i numerosi casi di cronaca che l'hanno vista contrapposta alle nostre autorità. Primo fra tutti il clamoroso speronamento di una motovedetta della Guardia di Finanza condotto da una nave della stessa Sea Watch con al timone l'irriducibile «capitana» Carola Rackete. Ma l'assurdità della denuncia diventa ancor più evidente se si pensa alle sue conseguenze. Accettandola la Corte Penale Internazionale si ritroverebbe a perseguire ministri, premier e funzionari di stati e istituzioni europei tralasciando, nel contempo, qualsiasi azione contro i trafficanti di uomini veri responsabili dello sfruttamento dei migranti. Trafficanti con i quali la stessa Sea Watch e tante altre Ong intratterrebbero, stando ad un inchiesta di Frontex, rapporti di indiretta collaborazione. In tutto questo Minniti, Salvini e gli altri denunciati hanno comunque la garanzia di uscirne incolumi. L'arruffato e assai interessato atto d'accusa presentato dall'organizzazione tedesca contiene una svista giuridica che quasi sicuramente porterà all'archiviazione della denuncia.
Lo statuto della Corte penale internazionale, stipulato a Roma il 17 luglio del 1998, prevede che la sua giurisdizione si eserciti «nel caso di crimini commessi sul territorio di uno Stato parte o da un cittadino di uno Stato parte». Ma la Libia, sul cui territorio sarebbero stati internati e seviziati i migranti, non ha mai firmato lo statuto di Roma. Se c'è un giudice all'Aja la denuncia lascerà, dunque, il tempo che trova.
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