L'ultima trovata di Renzi: solo due mandati al premier

Il capo del governo: "Non si può governare per più di dieci anni". Intanto ne ha già fatti due da non eletto

L'ultima trovata di Renzi: solo due mandati al premier

Roma - Detto da uno che di mandati dagli elettori finora non ne ha ancora ricevuti, un po' fa ridere e un po' preoccupa, l'ultima trovata di Matteo Renzi. «Non si può governare per più di due mandati», ha buttato lì l'altra sera davanti a un rassegnato Eugenio Scalfari. Il quale, se non fosse per l'impertubabilità concessa a chi in novant'anni ne ha viste tante e forse troppe, in altre epoche non gliel'avrebbe fatta passare così liscia.

Dunque, a conti fatti il premier potrebbe anche querelarci, come ha minacciato per chi «dice che voglio governare l'Italia per 15 anni». Due mandati da cinque fa dieci, più gli anni che restano fino alla scadenza naturale della legislatura (marzo 2018), significa che quindici no, ma Renzi sicuramente ha in animo di allietarci per quattordici, di annetti. Il problema maggiore però resterebbe il «come» vorrebbe governarci. Da padrone assoluto delle ferriere, considerato il meccanismo perverso tra una riforma assurda e mal scritta e una legge elettorale ignobilmente calata sulla sua persona. Neppure lo scambio proposto dal vecchio fondatore di Repubblica ha intenerito il giovanotto, «cambia l'Italicum e voto sì al referendum». Gli ha dato soltanto l'agio di sostenere «di non essere innamorato dell'Italicum», e di aver sempre preferito il Mattarellum; solo che «una legge elettorale dura molto meno di una riforma costituzionale, è stata frutto di un compromesso ed è l'unica che possa garantire la vittoria di un partito senza partitini accanto, senza inciuci, laddove il proporzionale dura quanto un gatto in autostrada».

Più o meno, secondo i vaticini di Salvini, questo gatto potrebbe chiamarsi Matteo («Renzi non arriva al 2018 neppure se fa la macumba»), ma non è questo che preoccupa. Quanto piuttosto il fatto che la questione del limite dei due mandati possa essere introdotta en passant da una legge ordinaria, come il premier ha praticamente ordinato di presentare a qualcuno dei suoi gruppi parlamentari («Se ci fosse una proposta in tal senso in Parlamento, la firmerei subito»). Qual è l'inghippo? Che se avesse voluto introdurla in maniera pulita l'avrebbe potuto fare all'interno della riforma Boschi, così da far emergere il vero disegno sottinteso alla modifica costituzionale, che non sarebbe passato affatto in maniera così facile. Quello di trasformare la nostra Repubblica da parlamentare a presidenziale. Lo spiegava ieri il capogruppo di Sel alla Camera, Arturo Scotto: «Il limite di due mandati per il premier non esiste in Costituzione perché la nostra è una Repubblica parlamentare e non presidenziale. Per Renzi è un voce dal sen fuggita: trasformare l'equilibrio istituzionale introducendo l'elezione diretta. Un fatto grave, la cifra autentica della controriforma che vogliono far passare: la trasformazione del Parlamento in passacarte». Il tutto, peraltro, nella maniera surrettizia di una leggina ordinaria.

Se n'è accorto anche il professor Gotor, pidino in salsa bersaniana che ieri osservava come «si avanzi a grandi passi verso un inedito presidenzialismo del premier senza pesi e contrappesi... Una deriva plebiscitaria per noi inaccettabile». Democrazia del selfie la definisce Gotor. Una foto horror che non meriterebbe di essere scattata, in verità.

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